Ieri la dura posizione di Conte, ammorbidita in serata, ha lasciato il segno. La linea 'chi non ci sta è fuori' ha sorpreso i vertici pentastellati. "I toni 'o si fa così o si va a casa' fanno del male al Paese, fanno del male al governo: in politica si ascolta la prima forza politica che è il M5s, perché se va a casa il M5s è difficile che possa esistere ancora una coalizione di governo", la replica comparsa questa mattina sul blog e rilanciata da Di Maio che poi nel tardo pomeriggio si è detto comunque ottimista sulla possibilità di trovare un accordo sulla manovra.
Silenzio a palazzo Chigi. Nella sede del governo domani si dovrebbe tenere un vertice di maggioranza anche se l'orario non è stato ancora fissato. Ma il presidente del Consiglio in questi giorni non ha nascosto la sua preoccupazione per il braccio di ferro su una legge di bilancio votata in Consiglio dei ministri e che sterilizza le clausole di salvaguardia sull'Iva.
Oggi Renzi - ribadendo la sua posizione su 'Quota cento' e rilanciando la necessità di trovare altri fondi sulla 'spending review' cancellando tutti i balzelli previsti - ha sottolineato che "le idee non sono ultimatum" e ha definito i confini della legislatura fino al 2023, in tempo per l'elezione del prossimo Capo dello Stato. Ma non ha mai affermato che dovrà essere Conte a restare al timone per i prossimi anni, tanto che nella Lega c'è la convinzione che il presidente del Consiglio possa saltare il prima possibile, propria ad opera del senatore di Firenze. Ma Conte non ne fa una partita personale, piuttosto - il ragionamento che ripete da tempo - sono le tensioni a far male al Paese.
L'obiettivo è evitare gli errori del passato, non replicando quanto successo con Salvini nella fase dell'esecutivo giallo-verde, soprattutto in un momento in cui l'Italia resta in ogni caso osservato speciale in Europa. Insomma a palazzo Chigi si lavora per scongiurare quello che sembra essere un film già visto. Ma nell'esecutivo allo stesso tempo si conferma che l'impianto generale della manovra non si tocca. Si capirà domani se i distinguo di Di Maio da una parte e Renzi dall'altra siano un bluff come sottolinea un 'big' del Pd o se possano portare a modificare il testo su alcuni punti come la lotta al contante, le partita Iva o la 'sugar tax'.
Di fatto gli appelli a mettere fine alle fibrillazioni quotidiane - arrivati da Conte e da Zingaretti - al momento si scontrano con i 'paletti' posti da M5s e da Italia viva. E se nella maggioranza c'è la convinzione che le posizioni di Di Maio siano conseguenza soprattutto delle fibrillazioni all'interno del Movimento, il capo politico oggi mantiene il punto. E fa pesare nuovamente i voti in Parlamento.
Nessuno - né Renzi né Di Maio - parlano di ultimatum, ma il primo ricorda al premier che la lotta all'evasione è partita anni fa proprio dalla Leopolda e invita a cancellare "uno spot che costa 20 miliardi in tre anni" e non tartassare le partita Iva mentre il secondo parla di tre proposte "che per noi sono imprescindibili: o si fanno o non esiste ancora la manovra". E intanto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, annuncia che il pacchetto sul carcere per i grandi evasori "è pronto".
Dunque è in atto un vero e proprio pressing nei confronti del premier e del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, affinché riapra il cantiere della legge di bilancio. Zingaretti nel frattempo guarda pure nel campo avversario e fa notare come a piazza San Giovanni a Roma il centrodestra si sia ricompattato, da qui la necessità di organizzare "un campo alternativo oppure - questa la tesi - regaliamo l'Italia a Salvini".