La crisi siriana irrompe sulla politica italiana, intenta a cercare la formazione di un governo a cinque settimane dalle elezioni politiche del 4 marzo. Un patto inizia a prendere forma, ma la grande politica internazionale impone, ancor prima che veda la luce l’alleanza tra Lega e 5 Stelle, una scelta di campo. Il fatto è che gli uni e gli alti, i leghisti come i cinquestelle, sono considerati – e loro hanno fatto di tutto per esserlo – come possibili interlocutori consenzienti di Vladimir Putin, mentre il Paese che sarebbero chiamati a guidare tra qualche tempo (più o meno lungo) è tradizionalmente europeista e atlantista. Anzi: fondatore dell’Unione Europea e membro della Nato da decenni e decenni.
Un tema in più da affrontare in questo nuovo giro di consultazioni, oggi al Quirinale. Che si apre con una novità, seppur piccola: è tornato il sereno tra Salvini e Di Maio, a scapito di Berlusconi. Infatti, secondo La Stampa, “l’ex Cavaliere vorrebbe fosse il centrodestra a tentare la via del governo e lo dirà a Mattarella. Il problema è chi dovrebbe ricevere l’incarico. Salvini non ne vuole sapere, né per sé né per altri del suo partito (leggi ancora: Giorgetti). Una posizione che il leader leghista ha condiviso ieri al telefono con Di Maio. Il grillino prima di qualsiasi richiesta vuole blindare il patto con il leghista. E sa che al leader del Carroccio serve tempo. Questo tempo, il capo grillino glielo vuole concedere volentieri perché è convinto che gli sia necessario per consumare lo strappo con Berlusconi”. Insomma: magari aspettare l’esito delle elezioni regionali prima in Friuli Venezia Giulia e poi, magari, anche in Molise.
Ma c’è tutto questo tempo? Secondo La Repubblica mica tanto. “Lo schema del capo dello Stato è fissato. I colloqui possono non essere risolutivi, poi vincitori dimezzati e sconfitti hanno sei giorni di tempo per trovare una via d’uscita. Martedì o mercoledì della prossima settimana devono tornare al Colle con una soluzione, se ce l’hanno, in modo che Mattarella sia in grado di affidare un incarico pieno a un premier che abbia una maggioranza parlamentare solida, un programma e una squadra di ministri. La doccia gelata che viene giù dal Quirinale investe anzitutto Salvini, ha il sapore di una risposta al premier leghista che punta sul voto in Friuli (il 29 aprile) per far abbassare la cresta a qualcuno. Il Movimento 5 Stelle, naturalmente. Ma quel che filtra dal Colle rafforza e conferma la linea della fermezza imboccata dal capo dello Stato, pronto a utilizzare l’arma del preincarico (o in alternativa del mandato esplorativo istituzionale) per risolvere il braccio di ferro”.
Questo per quanto riguarda il ripetersi un po’ stantio delle posizioni emerse dalle urne. C’è poi, per l’appunto, la questione internazionale, ben più ampia e profonda di quanto non sia talvolta la percezione che se ne ha in Italia. Nota ancora La Repubblica: “C’è una questione completamente nuova che sta emergendo in queste lunghe consultazioni per la formazione del governo. Un tema che non è mai stato oggetto di discussione concreta in settant’anni di storia repubblicana. E che ora si trova improvvisamente nei dossier di molte forze politiche italiane, soprattutto di quasi tutte le Cancellerie europee e anche di Washington. Si tratta della collocazione internazionale dell’Italia. Il punto è che nonostante il cambio determinato il 4 marzo nel sistema politico italiano, i rapporti internazionali non sono un foglio bianco da riempire. L’impianto delle relazioni estere è consolidato. Un argomento ben presente anche al Quirinale”.
Il punto, infatti, è dirimente. “Sergio Mattarella era vicepresidente del consiglio del gabinetto guidato da Massimo D’Alema. Ossia l’esecutivo che nacque dalla crisi del governo Prodi, dall’addio alla maggioranza di un partito, Rifondazione comunista, dichiaratamente contrario alla Nato. Quella compagine nel 1999, pochi mesi dopo la sua nascita, partecipò non a caso al conflitto militare in Kosovo.
Conclude il ragionamento il Corriere della Sera. “Da stamane qualcosa di più chiaro si saprà. Comprese le posizioni delle forze politiche sui venti di guerra che spirano intorno alla Siria, cioè alle porte di casa nostra”, scrive, “Non va escluso infatti che il presidente, interrogando i propri interlocutori, li sondi pure su questo fronte che carica di ulteriori tensioni la partita. Vorrà avere, come del resto ha fatto già nel suo primo giro di colloqui, qualche ulteriore chiarimento sulle loro idee di politica estera e sulla posizione che l’Italia si troverà a dover assumere nell’eventualità di una chiamata in causa della Nato”.