Mozione di sfiducia a Conte, mozione di sfiducia a Salvini o comunicazioni del presidente del Consiglio con successivo voto sulle risoluzioni? Su cosa l'Aula del Senato sarà chiamata a dibattere ed esprimersi - probabilmente lunedì 19 o martedì 20 agosto - non è possibile stabilirlo ora con certezza. Anche se, dopo la lettera inviata ieri da Giuseppe Conte ai presidenti di Camera e Senato, almeno per una questione di 'garbo' istituzionale tutto lascia presagire che i senatori ascolteranno le parole del premier prima di procedere a qualsiasi voto.
L'ultima parola, comunque, spetta alla Conferenza dei capigruppo di palazzo Madama, che è sovrana sulle decisioni che riguardano i lavori dell'Aula. In capigruppo, lunedì pomeriggio, saranno quindi decisivi gli equilibri di forza e numerici. La capigruppo, infatti, può decidere a maggioranza e, nel caso si registri uno stallo, sarà l'Aula a sciogliere ogni nodo. Il regolamento del Senato dispone infatti (articolo 55) che "il calendario, se adottato all'unanimità, ha carattere definitivo e viene comunicato all'Assemblea. In caso contrario, possono essere avanzate proposte di modifica da parte di un senatore per Gruppo. Sulle proposte di modifica decide l'Assemblea con votazione per alzata di mano".
Maggioranze alternative?
Al di là dei tecnicismi, sono da considerare anche gli aspetti politici. E non è affatto impossibile che alla fine l'Aula di palazzo Madama non voti la mozione di sfiducia a Conte presentata dalla Lega, bensì sia chiamata a votare una risoluzione, ad esempio dei 5 stelle, in cui si chiede a Conte di proseguire il mandato. Certo, in quel caso entrerebbero in gioco i numeri e gli eventuali precedenti accordi intercorsi tra le diverse forze politiche. E potrebbero essere maggioranze 'alternative' e trasversali a decidere se scrivere la parola fine sull'esecutivo o se, al contrario, consentirgli ad esempio di proseguire.
Questo perché le comunicazioni del presidente del Consiglio prevedono che, al termine, si svolga un dibattito in Aula e che si mettano ai voti le eventuali risoluzioni presentate. E ancora: è possibile - si tratta sempre di esempi di scuola - che il governo ponga la fiducia su una delle risoluzioni. Così come nulla esclude che, a quel punto, la Lega presenti una sua risoluzione in cui si sfiducia Conte.
Il nodo dell'articolo 105
L'articolo 105 del regolamento del Senato prevede infatti che "sulle comunicazioni del Governo si apre un dibattito a sè stante quando ne facciano richiesta otto senatori. In tal caso il Presidente, sentito il Governo, dispone l'iscrizione dell'argomento all'ordine del giorno dell'Assemblea non oltre il terzo giorno dalla richiesta. In occasione del dibattito ciascun senatore può presentare una proposta di risoluzione, che è votata al termine della discussione". L'articolo dunque fissa una scadenza temporale: non oltre tre giorni. Ma in questo caso occorrerà necessariamente più tempo, visto che bisogna consentire a tutti i senatori di rientrare dalle ferie.
Insomma, non esiste nessuna regola scritta che fissa una priorità temporale su cosa l'Aula del Senato dovrà votare in prima battuta. Nessuna regola, viene confermato da fonti parlamentari, assegna una priorità di 'anzianità' alle mozioni, quindi la mozione del Pd contro Matteo Salvini è pari a quella della Lega contro Conte, anche se presentata prima.
Così come non esiste alcuna regola scritta che obblighi il Senato ad ascoltare prima delle mozioni di sfiducia le comunicazioni del presidente del Consiglio. Ma, viene fatto notare, sarebbe uno sgarbo istituzionale, mai avvenuto prima, che non si lasci intervenire subito il premier avendo espressamente dato la sua disponibilità a rendere comunicazioni in Aula. Ed è proprio quello che ha scritto Giuseppe Conte: nelle lettere inviate ieri ai presidenti dei due rami del Parlamento, Elisabetta Casellati e Roberto Fico, Conte ha dato la sua disponibilità - è questa la formula di rito - a rendere comunicazioni alle Camere. Ed è sempre per questo motivo che è stata convocata anche la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio (martedì alle 12) che dovrà formalmente calendarizzare le comunicazioni del premier in Aula, anche se poi non dovessero svolgersi a seguito di un esito del voto in Senato sfavorevole al premier e al suo governo.
In conclusione, nella sostanza, le sorti del governo Conte - stando ai numeri attuali e alle posizioni politiche ufficiali espresse in queste ore - dovrebbero essere ormai segnate, sia che si voti la mozione di sfiducia a Conte sia che si voti una risoluzione di conferma della fiducia che viene poi bocciata dall'Aula. Sempre che, appunto, non entrino in gioco 'accordi' diversi o diverse maggioranze. Per Conte, quindi, l'unica possibilità di evitare il voto esplicito dell'Assemblea è quella di, ascoltato il dibattito, scegliere di salire al Colle per rassegnare le dimissioni prima che i senatori pigino sul pulsante.