Il succo è presto detto, a spoglio ancora in corso ma a risultato di fatto consolidato: dopo 24 anni ininterrotti la Basilicata passa dal governo di sinistra nelle mani del centrodestra. Il primo è al al 34,3 e il secondo al 42,3. In tutto questo i 5Stelle scendono nei pressi del 20%, dimezzando il risultato ottenuto alle politiche del 4 marzo di un anno fa. La sintesi è, per i giornali: vince Salvini, perde Di Maio. “Il centrodestra vince ancora”, titola il Corriere della Sera. “Dopo le politiche di del 4 marzo 2018, il voto in Abruzzo e Sardegna, ora tocca alla piccola Basilicata. Dunque Vince Vito Bardi, il generale della Guardia di finanza in pensione voluto da Berlusconi”.
Tanto che il vicepremier e leader della Lega Salvini a spoglio delle schede lungi dall’esser completato si sente di lanciare un suo personale pronostico: “Da stasera la Basilicata sarà governata dalla Lega. La prossima sarà l’Emilia-Romagna, poi toccherà alla Toscana, alle Marche e all’Umbria, tutte regioni rosse (ma si scorda il Piemonte)”, registra e annota l’inviato di via Solferino sotto il titolo: “Spazzeremo via chi cerca di fermarci”. Insomma, “Centrodestra a valanga. Crollo del M5s superato dal centrosinistra” titola il sito de La Stampa di Torino. Per Il Giornale il titolo d’apertura è invece: “Di Maio game over”. Pentastellati, all’angolo, pertanto, nell’ennesima prova elettorale in tempi ravvicinati.
Il quadro più completo dei rapporti di forza e dello stato dell’arte lo dà comunque l’articolo dell’inviato del Corriere da Potenza, che fotografa così la situazione: “Valerio Tramutoli, che puntava a raccogliere il voto ambientalista e di sinistra, ha preso il 4,7%. L’affluenza è stata del 53,6%, in aumento rispetto alle Regionali del 2013, mentre alle Politiche era al 71,1%. M5S risulta primo partito con il 19,7%, la Lega prende il 17,1, FI l’11,3%, Comunità democratiche che comprende il Pd è all’8,7% mentre FdI al 6,7%”.
Su la Repubblica, il vincitore e neogovernatore Vito Bardi, palesemente soddisfatto, illustra il suo programma che punta a “lavoro e infrastrutture” in una palese sfida ai 5Stelle, definito come un partito ormai recalcitrante alla modernizzazione. E Antonio Tajani, Presidente della Commisisone europea e vicepresidente azzurro, in un’intervista al Corriere, rivendica un successo non del tutto scontato (“la candidatura di Vito Bardi era stata osteggiata fino all’ultimo dagli alleati, e aveva provocato qualche mugugno anche in FI”): “«Un candidato fortemente voluto da Forza Italia, un esponente della società civile che allarga l’area di consenso del centrodestra. Un candidato vincente. Avevamo ragione noi. E adesso, siamo pronti per vincere anche in Piemonte».
Mentre per il senatore 5S Gianluigi Paragone, a Oderzo per un “Dignità Tour”, la situazione appare chiara, così come le responsabilità: “È stato un errore tenere fuori Alessandro Di Battista. Deve tornare al nostro fianco e combattere con noi. Perché stiamo diventando forza di sistema. E non basta fare il compitino, dobbiamo tornare a essere tsunami come una volta. Siamo tutti colpevoli di questa deriva. Dobbiamo fare un tagliando e cambiare tutto. Se non siamo capaci, beh allora scansiamoci. Non vale la pena andare avanti così, con questo governo” (ancora dal Corriere).
Tanto che su Libero Quotidiano, Vittorio Feltri lancia la sua premonizione: “I grillini moriranno perché sono inetti”: “Il Movimento 5 Stelle non ha perso voti perché ha rivelato di avere le stesse debolezze che contraddistinguono gli altri partiti - roba normale - bensì perché ha attuato una politica velleitaria, retrograda e complessivamente fallimentare. Si è fissato sulla decrescita felice, una idiozia sesquipedale, sul reddito di cittadinanza, una forma evoluta di accattonaggio organizzato, e soprattutto non ha seguito la linea di Salvini, l' unico segretario e governante che abbia interpretato le aspettative del popolo”.
L’interpretazione del voto è variegata. La Repubblica pone l’accento sul fatto che “il governo gialloverde si è ormai immerso nella più classica palude della Prima Repubblica. Quella dell’inazione, della ricerca del consenso fine a se stesso. La causa è da ricercare nel peccato originale di questa alleanza. Dopo un anno passato a tentare di dare sostanza politica a un “contratto” e a spacciare la mera spartizione del potere con un presunto rinnovamento, adesso è evidente che Lega e M5S devono smettere i panni ipocriti della convivenza per indossare quelli della guerra”.
Mentre il Corriere, per la firma di Paolo Mieli, si concentra sui limiti di un centrosinistra “senza idee forti”: “C’è poi un’altra questione di cui il Pd non sembra rendersi conto: l’attuale sistema elettorale non consente il successo di partiti sprovvisti di un baricentro e di due o tre (non cento, duecento) punti programmatici ben identificabili. Parliamo di proposte connotanti come furono alle scorse elezioni— sul fronte opposto a quello di sinistra— il reddito di cittadinanza, la flat tax, la revisione della legge Fornero, le restrizioni nei confronti dei migranti. Nei sistemi maggioritari (come sono tuttora quelli delle elezioni comunali e regionali) si può correre anche senza grandi idee di programma, confidando nelle leadership; in quelli proporzionali (come è per le elezioni politiche) servono due o tre idee forti che siano magnetiche nel dibattito preelettorale, si imprimano nella memoria, e possano rivelarsi vincenti, anche al di là della loro piena realizzabilità. Da tempo immemorabile, di questo tipo di proposte la sinistra ne produce poche (o troppe, che è lo stesso) confidando eccessivamente nell’attività di contrasto a quelle degli avversari”.
Infine la Repubblica fa i conti dei rapporti di forza attuali tra le coalizioni a livello locale, immortalando in uno scatto la gara dei sorpassi: “Il centrodestra ora controlla dieci Regioni” contro le 9 detenute dal centrosinistra.