Ostaggi del leader leghista? In un vicolo cieco? Per avere un'idea del mood Cinquestelle di questi giorni post-elezioni basta una breve scorsa ai titoli dei quotidiani in edicola oggi: “Salvini è già premier”, titola a tutta pagina Il Giornale. “E ora Salvini dà i 30 giorni a Di Maio”, è l’apertura di prima pagina de la Repubblica. “Licenziano Di Maio”, scrive Libero. “Cucù, il grillismo non c’è più”, fa eco, compiaciuto, Il Foglio. “Per i 5 Stelle una strada obbligata: l’opposizione”, consiglia dalla prima pagina Il Fatto Quotidiano, perché “chi tira a campare tira anche le cuoia”, sottolinea Antonio Padellaro. “Ora la leadership sarà condivisa”, il Corriere.
Lo choc del dimezzamento dei voti è stato tale che i 5S sono impietriti, paralizzati. Il travaso di 6 milioni di voti non è emorragia di poco conto. Far dimettere Di Maio? Ufficialmente nessuno lo chiede, tra i vertici. C’è chi lo avanza nelle chat, semmai, come racconta il Corriere in un servizio.
Però al Mise, il ministero di cui è titolare Di Maio, si è tenuto ieri un vertice a cui hanno partecipato “da Alessandro Di Battista a Paola Taverna, fino ai sottosegretari Stefano Buffagni e Vincenzo Spadafora, Gianluigi Paragone, i capigruppo a Camera e Senato Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli e i responsabili della comunicazione Rocco Casalino e Augusto Rubei” come riporta Il Giornale e scrive anche Il Fatto, dopo che la mattina lo stesso Di Maio aveva parlato con “Casaleggio, Grillo, Di Battista, Fico”, “senza avere avuto richieste di dimissioni” scrive il Corriere (e conferma anche la Repubblica), riportando la dichiarazione del diretto interessato, ma riferendo anche quella della senatrice Paola Nugnes, che ironizza: “Avrà pure parlato con tutte le anime ma non con lo spirito santo”.
Per il momento si parla, semmai, di un “direttorio a tre” o di un “allargamento della segreteria a 8 o a 12” (ancora il Corriere). Ma è chiaro che il dominus oggi è Salvini. È lui che dà le carte e impone l’agenda. Ha dalla sua il 34 per cento contro il 17. Perciò la strada è stretta per i 5Stelle, condannati alla subalternità di governo o a “staccare la spina”. Ma per andare dove? La verità? “È che oggi i 5Stelle non hanno la minima idea di come ripartire” si legge in una passaggio di una cronaca de la Repubblica. È lo stallo. E il voto non conviene di certo, oggi. E in questa situazione.
Secondo il Corriere, l’apparato oggi sotto accusa è la comunicazione per “la svolta combattiva” e la radicalizzazione-contrapposizione che non ha giovato. Il Foglio scrive di “sconfitta multilivello”, basata su quattro fasi chiave: europea, nazionale, locale e di consenso. “Dobbiamo riorganizzare il Movimento sul territorio affinché sia più efficace ed efficiente”, ha detto Di Maio, annota il quotidiano diretto da Claudio Cerasa. Che è anche un po’ come dire, il dobbiamo tornare in periferia del Pd. “Qui più che riorganizzare servirebbe una organizzazione”, mette il dito nella piaga Il Giornale. Sul quale Augusto Minzolini in un articolo centrato sul dilemma “stare al governo o farsi esplodere”, scrive che i 5Stelle sono “kamikaze come i vecchi dc” che si ripetono “si va avanti”.
Gialloverdi o verdegialli? Marco Travaglio su Il Fatto scrive però che “ora Salvini è il Di Maio di un anno fa e viceversa: le percentuali di Lega e 5Stelle si sono invertite, infatti la somma dei giallo-verdi, anzi dei verdi-gialli è sempre sopra il 50%. Teoricamente, il Carroccio diventa l’azionista di maggioranza del governo. Ma con la metà dei seggi dei 5Stelle: finché non si tornerà alle urne, i voti in Parlamento restano quelli del 2018. Il che diminuisce le responsabilità del M5S e paradossalmente aumenta il suo potere contrattuale. Almeno finché Salvini vorrà tenere in piedi il governo, avrà bisogno dei voti pentastellati. E si vedrà se Di Maio si riavrà dallo choc e sarà così lucido e abile da fare a Salvini ciò che fino all’altroieri Salvini ha fatto a lui: fargli pesare e penare la propria forza parlamentare”.
“Un periodo di opposizione non farebbe che bene ai 5Stelle – seguita a scrivere il direttore de Il Fatto – per tentare di recuperare l’identità smarrita, riorganizzarsi sui territori abbandonati e darsi una gestione più collegiale con Grillo, Di Battista, Fico&C.. Una prospettiva che consente fin da subito al M5S di poter scegliere il terreno e il momento più propizio per rompere con Salvini: su una grande questione di principio che restituisca l’identità a quel che resta del Movimento e coinvolga altri settori dell’opinione pubblica”. Il “caso Rixi” potrebbe essere un buon bandolo per rimettere insieme la matassa dell’identità perduta. O la Tav…