Intesa a due, governo di scopo (e che scopo: rifare la legge elettorale) poi tutti di nuovo al voto, tempo sei mesi. I due primi arrivati delle elezioni del 5 marzo fiutano l’aria di stallo e tentano di rovesciare una situazione per loro potenzialmente pericolosa mandando all’aria il tavolo, ma mandandocelo con metodo.
Requiem per un Parlamento appena nato
Lega e 5 Stelle, scrive stamani La Repubblica, sono spinti dalla realtà dei fatti a “compiere un ulteriore passo: gestire e tracciare i confini di una legislatura che appare azzoppata in partenza”. Praticare una sorta di dolce morte al Parlamento appena nato dopo aver trovato un Presidente del Consiglio di garanzia, “un magistrato o un costituzionalista di chiara fama che dia garanzie anche al Quirinale”, che porti ad un dibattito rapido ed efficace sulle nuove regole per andare alle urne e a questo punto “ad ottobre andare al regolamento di conti tra di loro”. Certo che in un progetto del genere non c’è posto per due presidenti delle Camere che siano di garanzia, a meno che questa garanzia non sia quella nei confronti della linea di Di Maio e Salvini. Il totonomine riparte allora oggi con nuova forza, anche se non con nomi nuovi.
Le speranze del Pd appese a Berlusconi
Riuscirà a concretizzarsi, questo piano? Su La Stampa si riferisce di un Romano Prodi che, forse per la prima volta nella sua vita politica, si affida a Silvio Berlusconi e sussurra gli amici: “Silvio non lo permetterà mai”. E in effetti, se il cammino da fare per finalizzare l’intesa tra Lega ed M5S è ancora lungo ed irto di ostacoli, è il leader di Forza Italia quello che reagisce con più irritazione all’idea di una conventio ad excludendum in cui l’escluso sarebbe lui. “Se continua così Salvini si brucia come Renzi”, è il suo sfogo secondo La Repubblica, “e noi dobbiamo fare di tutto per convincere lui e la Meloni, che per ora non sono d’accordo” ad aderire ad un progetto in cui il prossimo governo avrà l’appoggio esterno del Pd. Un modo per arrivare alla nascita di un esecutivo di tutto il centrodestra, e solo del centrodestra.
Non è un caso, quindi, se anche Denis Verdini sia stato rivisto dalle parti della villa di Arcore: l’ex cavaliere sta richiamando a sé, dopo un periodo di eclissi, la vecchia guardia del partito, quella che sa combattere nei momenti difficili. Scrive il Corriere della Sera: “si stanno consumando i processi agli sconfitti del 4 marzo. Due su tutti: Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli”. E ora “Letta e Confalonieri, che nelle settimane della presentazione delle liste avevano fatto fatica anche solo a parlare con Berlusconi” si ritrovano al centro dell’agire del partito. Il primo a tessere e mantenere i rapporti con il Quirinale, il secondo quelli – ad oggi ancor più delicati – con la Lega.
La parte del Quirinale
Due ulteriori elementi devono comunque essere considerati per una completa ricostruzione del quadro. Il primo è il Pd, il secondo il Quirinale (non necessariamente in quest’ordine). Dalle parti del Nazareno un Dario Franceschini si dice convinto che, se dovesse scattare l’accordo tra Salvini e Di maio, in autunno il suo partito “finirà al 5 percento”. Pertanto è meglio qualsiasi altra soluzione, persino quella di un dialogo con i grillini che li stacchi dai leghisti. Intanto Carlo Calenda rottama il Jobs Act, in una mossa che sa molto di appello alla base dei democratici. Quanto al Colle, serpeggia qualche dubbio: elezioni in estate? Cosa di difficilissima realizzazione, con la gente in vacanza? A ottobre? C’è da fare la legge di bilancio. E soprattutto: ancora incertezze politiche e arriverà la gelata per la ripresa economica.