Stallo, incertezza, addirittura “un grande bluff”: nei quotidiani di oggi si registra, con qualche segno di insofferenza, il fatto che nemmeno ieri al Quirinale Lega e M5S sono stati in grado di portare un accordo di governo o il nome di un candidato unico alla presidenza del Consiglio. E dal Quirinale filtra, al tempo stesso, la disponibilità a concedere una settimana ancora, ma questa volta anche una certa irritazione.
Particolarmente severo Claudio Tito su La Repubblica, che parla di “due bari” che sentono gravare su di sé l’ombra pesante di Silvio Berlusconi e registra: “La scatoletta di tonno si è richiusa. Nel 2013 il Movimento 5Stelle e il suo leader Beppe Grillo avevano eccitato i loro militanti promettendo di aprire il Parlamento e le Istituzioni come un barattolo di latta. Cinque anni dopo quella promessa si è inverata al contrario. Le trattative politiche non sono mai state così opache come in questi giorni. Gli incontri non sono riservati come è giusto che sia. Sono segreti. Il mito pentastellato dello streaming si sta sciogliendo nella clandestinità dei negoziati. Soprattutto nella bugia. Il punto, infatti, è questo: i leader dell’M5S e della Lega stanno raccontando una serie di fandonie non alla stampa, ma alla pubblica opinione”.
Di Maio e Salvini hanno chiesto più tempo e, scrive Marzio Breda sul Corriere della Sera, “Sergio Mattarella il tempo ha deciso di darglielo. Malvolentieri, ma lo ha accordato per diversi motivi”. Il primo: “Perché a 71 giorni dal voto ha esplorato tutte le combinazioni politiche per la formazione di una maggioranza, e tutte gli sono state inibite”. Il secondo: “Perché la sua proposta di un governo istituzionale, di garanzia e di servizio, è stata accolta male, ciò che, se avesse voluto insistere, lo costringerebbe a riportare il Paese di corsa al voto, con esiti di instabilità probabilmente identici a quelli del 4 marzo”. Infine “perché l’ipotesi di un patto grillo-leghista è l’unica carta rimasta sul suo tavolo dopo che sono state scartate le altre, e non può archiviarla. Non ancora”.
Di “crisi di nervi” parla anche La Stampa, e Fabio Martini impietoso commenta; “E dopo 70 giorni è come se si fosse cominciato a giocare a mosca cieca”. Sullo stesso giornale Ugo Magri assicura: “Se la trattativa fallisse, tornerebbe in campo il ‘governo di servizio’ fino alla fine dell’anno”. Aggiungendo: “Ma allora, come mai Salvini uscendo ha chiamato alle armi il suo popolo? Al Quirinale allargano le braccia, inutile cercare da quelle parti la risposta. Altrove, la tesi più gettonata è che un po’ di teatro facesse comodo per giustificare il ritardo. Motivarlo con la mancata intesa sul nome del premier sarebbe stato brutto, c’è un intero paese che attende «quota 100» per le pensioni, 780 euro al mese per chi non lavora e meno tasse per tutti. Meglio usare come schermo le divergenze sul programma”. Infine rassicura: “C’è pure chi drammatizza lo scontro sulle cose da fare, dunque pronostica una possibile clamorosa rottura dei negoziati. Al Quirinale sono rimasti in pochi a crederlo”.
Diverso l’avviso di Claudio Cerasa, che su Il Foglio si concentra sugli elementi di novità che potrebbero essere introdotti in Italia e non solo dal governo giallo-verde. “Strano, più che pericoloso. Bizzarro, più che rischioso. Curioso, più che dannoso” questo esecutivo, scrive. E continua: “Nelle ore che ci separano dalla nascita del governo dello sfascio, se mai questo governo nascerà, l’attenzione di molti osservatori sembra essere stata catturata più dalla forma che dalla sostanza, più dal contenitore che dal contenuto, più dal folclore generato dall’incrocio tra i due campioni del populismo italiano che dalle conseguenze che sul nostro paese potrebbe avere l’incontro tra i due partiti”.