Roma - "Il pieno riconoscimento dei diritti politici delle donne costituisce elemento fondativo della nostra Repubblica". A dirlo. Lo scorso 8 marzo, e' stato Sergio Mattarella. Si e' trattato del primo atto con cui le istituzioni hanno voluto ricordare che il suffragio universale, in Italia, e' nato insieme alla Repubblica e alla democrazia parlamentare, il 2 giugno 1946. Quel giorno per la scelta tra Monarchia e Repubblica la percentuale della partecipazione femminile al voto fu dell'89,1% delle aventi diritto, in maniera quasi uguale a quella degli uomini. Se si considera l'ostacolo anche culturale che si veniva abbattendo, si tratta di un risultato ancor piu' importante. Tina Anselmi, grande protagonista della Resistenza e della Prima Repubblica, cosi' scrisse di quei giorni: "Le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando vi a le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perche' non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne e' stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se essere maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica".
Non era stato un cammino facile quello dei diritti politici delle donne in Italia e quello raggiunto nel 1946 non era un risultato scontato. All'inizio del '900 il movimento per il voto alle donne aveva avuto un sussulto con la comparsa sulla scena di personaggi come Anna Mozzoni e Maria Montessori e nel 1919, dopo la Grande Guerra, la Camera voto' a larga maggioranza la legge sul diritto di voto alle donne. Ma la legge si areno' in Senato, e poi cambiarono i tempi: arrivo' la legge Acerbo che tolse i diritti anche agli uomini, figuriamoci a loro. Dopo la Liberazione u na prima presenza femminile si ebbe nella Consulta nazionale. L'assemblea non elettiva, composta dai esponenti dei partiti del Cln, il Comitato di liberazione nazionale, funse da parlamento tra il 1945 e il 2 giugno 1946 e vide la nomina di 13 donne su 460 membri. Il problema ormai era posto, e i principali partiti divenivano ogni giorno di piu' ben consapevoli che la democrazia non poteva sussistere senza l'apporto di oltre la meta' dei suoi cittadini. A porre la questione in modo ufficiale fu l'Udi, l'Unione delle donne italiane, l'associazione di ispirazione socialcomunista che gia' nel 1944 aveva inviato al governo Bonomi una precisa richiesta. Sulla questione del voto fondamentali furono poi le parole di papa Pio XII che diede in un certo senso la sua 'benedizione' dopo che per lungo tempo la Chiesa di Roma aveva visto con terrore la possibilita' che le donne andassero a votare. Quello dei cattolici e delle cattoliche era stato un avvicinamento a tappe. All'inizio del secolo alcune esponenti del mondo cattolico si espressero a favore del suffragio amministrativo, poi giunse il si' di don Luigi Sturzo nel 1917, quindi nel 1945 quello di Pio XII: perche' si difendesse la famiglia e la stabilita'. A non entusiasmarsi rispetto alla questione del suffragio femminile furono altri partiti rispetto alla Democrazia Cristiana: gli azionisti, i liberali e i repubblicani. I partiti di ispirazione liberale, in parte, sottolinearono lo scarso livello culturale delle donne e i limiti della loro coscienza politica. Ma in fondo era un certo tipo di mondo che volgeva al tramonto, quello della democrazia liberale di stampo risorgimentale che aveva fatto il suo tempo, prosperando sul concetto di voto attivo e passivo in base al censo e, sia chiaro, solo a suffragio maschile. Ricorda ancora Mattarella: "Le elettrici, sin dalle amministrative del '46, e dal referendum del 2 giugno, parteciparono in massa al voto, smentendo i timori che affioravano nei gruppi dirigenti dei partiti di massa, e conferendo alla nostra democrazia una forza che e' stata poi decisiva per superare momenti difficili e minacce oscure". La Repubblica e' donnam insomma, fin dal primo istante.(AGI)