Alla fine il 25 aprile è arrivato. È qua. Discusso e analizzato con largo anticipo sulla data di celebrazione, nel suo giorno fatidico diventa oggetto ulteriore di riflessione sulle origini dell’identità nazionale. Anche se la data odierna si trascina “lo sfregio degli ultrà laziali”, come titola il Corriere della Sera, che ieri a Milano in Piazza Loreto hanno srotolato uno striscione con su scritto “Onore a Benito Mussolini”. Certo, “uno striscione è uno striscione, niente di più. Ma anche niente di meno” perché alla vigilia della Festa della Liberazione “si tramuta in un oltraggio” osserva Giovanni Bianconi sulle colonne di via Solferino.
Dal punto di vista ufficiale, il passo lo danno le prime tre cariche dello Stato, con il Presidente della Repubblica Mattarella che equipara il 25 aprile ad un “secondo Risorgimento” e affermando che “la storia non si riscrive” titola la Repubblica, mentre Marzio Breda, ancora sul Corriere, scrive: “L’ultimo strappo, quello sul 25 Aprile, contro il quale sono in corso svalutazioni, boicottaggi e diserzioni (per esempio quella di Salvini e dei suoi ministri), cercherà di ricucirlo lui, oggi, a Vittorio Veneto. Con un discorso in bilico tra un passato che non passa, perché si insiste a guardarlo secondo logiche divisive, e un presente altrettanto lacerante. Non lancerà anatemi, Sergio Mattarella, ma il suo ‘no a riscritture della storia’, pronunciato ieri, è la premessa per ricordare che in questa data fondante della nostra democrazia tutto si tiene: dalla Resistenza alla nascita della Repubblica alla Costituzione. Senza che nessuno possa vantare egemonie politiche o contestarle”.
E in un’intervista ancora al quotidiano diretto da Luciano Fontana, la Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ricorda che “il 25 aprile è una data simbolica che evoca e racchiude i valori fondanti del nostro Paese ed esalta i pilastri immateriali su cui è stata eretta la nostra Repubblica: libertà, pace e democrazia. Celebrarlo oggi significa continuare a ricordare l’orgoglio e lo spirito di sacrificio di un popolo che ribellandosi contro i totalitarismi ha trovato la forza di farsi nazione” mentre a colloquio con Il Fatto Quotidiano il Presidente della Camera, Roberto Fico, rammenta che la data “è fondamentale, perché ci racconta le basi su cui si fonda la nostra democrazia. Io rappresento le istituzioni di un’Italia antifascista, democratica e repubblicana” e “non si può essere di parte perché celebra il ritorno alla democrazia”. Pertanto, sostiene la terza carica dello Stato, “trovo una lettura assolutamente sbagliata e fuorviante” quella che sostiene che la vera liberazione è dalla mafia, non mancando così una stoccata a Salvini: “Noi celebriamo quella Liberazione che permette a quei ministri di stare al governo”.
E se la celebrazione della ricorrenza divide anche i due partner di governo, sparpagliati su piazze diverse (Di Maio e Raggi con la Comunità ebraica di Roma) e Salvini a Corleone a inaugurare un commissariato di Polizia, con un’intervista a la Repubblica il premier Giuseppe Conte diretto al vicepremier leghista sostiene che “chi non festeggia sbaglia, mai dare per scontati i valori di chi è morto per la libertà”
Ma sui giornali c’è anche molto altro. C’è la Repubblica che costruisce la prima pagina come una copertina con foto di partigiani che entrano in città liberate e un editoriale di Ezio Mauro (“Il nostro patto di libertà”) che sull’oggi scrive: “Non è il caso di parlare di fascismo che ritorna. Ma assistiamo a tentativi continui di sfiorare i tabù democratici, alludendo al passato, mutuando slogan e linguaggi, guardando con indulgenza a quelle espressioni di fascismo sciolto, disorganico, fuori dalla storia (dunque al riparo dalle lezioni del secolo) che si ripropongono come presenza originaria, situazionista, antagonista, realizzata, spiegata e consumata nell’azione. Intanto un nuovo istinto di classe si fa Stato contro il migrante, vede crescere le distanze tra il ricco e il povero, li disgiunge dalla stessa comunità di destino di cui facevano parte fino a ieri nelle loro differenze, mentre la ferocia verbale e la brutalità esibita contro i deboli diventano la cifra della nuova politica. Questo succede quando viene meno la coscienza della vicenda repubblicana, nel suo male e nel suo bene. Quando si smarrisce, per scelta, il sentimento delle origini da cui deriva il processo democratico del Paese”.
Di contro, su Il Giornale il direttore Alessandro Sallusti, che ieri aveva scritto che siamo Prigionieri della Liberazione, sostiene oggi in un editoriale chiaro fin dal titolo, che “la vera Liberazione fu il 18 aprile” del 1948, quando “si celebrarono le prime elezioni post costituzione repubblicana e gli italiani con il loro voto scongiurarono il rischio reale e concreto della presa del potere da parte dei comunisti e dei socialisti” e “l’Italia trovò davvero la sua libertà, la sua collocazione definitiva nello scacchiere del mondo occidentale e l’inizio di un percorso di stabilità, di crescita sociale ed economica che la portò fino a essere l’ottava potenza del mondo”. “Oggi avremmo voluto sì festeggiare la liberazione, ma quella da un governo di dilettanti. Ci siamo andati vicino ma purtroppo sono ancora lì, sfidando la legge di gravità”, l’incipit dell’editoriale, e di fronte “alla pericolosità di Di Maio e del governo tutto” oggi “ci sarebbe bisogno, invece che delle risse e degli odi da ‘25’, di un nuovo ‘18 Aprile’ che rimetta l’Italia sui giusti binari della storia”.
Ma se la democrazia “vuole scongiurare un eventuale ritorno di nazisti, fascisti e razzisti, deve realizzare l’ideale scritto nell’art. 3 della Costituzione: tutti sono uguali davanti alla legge e compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini” sostiene lo storico Emilio Gentile in un’intervista a Il Messaggero. Per osservare poi che “nessuna festa nazionale in Italia è mai stata fatture di unità (…) il giorno stesso dell’Unità d’Italia, 17 marzo 1861, non è stato fattore di unità”. Così “i fatti vanno ricostruiti senza proporsi memorie condivise o altro” anche perché “la storia a volt è spietata, a volte incoraggiante, ma è la storia: non può servire all’uso contingente” e “chi oggi contesta il 25 aprile lo può fare grazie al 25 aprile, questo è il suo valore”.
Infine su Il Fatto, Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, scrive una lettera aperta al ministro Salvini per ricordargli che “la storia dei partigiani, di chi ha combattuto il fascismo, somiglia molto a quella di chi ha combattuto la mafia. Allora dire che la festa del 25 Aprile è un ‘derby tra fascisti e comunisti’ ricorda tanto ciò che si diceva negli anni Ottanta sul Maxiprocesso, e cioè che fosse un derby che riguardava la mafia e l’antimafia, un derby fra mafiosi e magistrati” e “quando lei, signor ministro, non riesce a dire che il fascismo fa schifo (e in quelle poche volte in cui lo fa aggiunge sempre frasi del tipo: ‘Ma anche il comunismo ha ucciso molte persone’), mi ricorda tanto quelli che a Palermo non riescono a dire che la mafia fa schifo e, quando costretti ad ammetterlo, aggiungono: ‘Ma la vera mafia è a Roma’ (con la variante: ‘La mafia è nelle istituzioni’)”.
Per poi concludere: “Probabilmente, una volta giunto a Corleone, troverà una parte del paese che sottovoce le dirà che la mafia è nelle istituzioni, che il vero nemico è lo Stato e che alla fine ‘la mafia ha fatto anche cose buone’. Una frase che dovrebbe ricordarle qualcosa... Poi incontrerà l’altra parte del paese che farà una coraggiosa e instancabile “RESISTENZA ” alla mafia, senza equivoci e senza esitazione, per difendere la democrazia e la libertà, faticosamente conquistate. E temo che lo spirito della RESISTENZA la ‘perseguiterà’ anche lì”.