Roma - Dieci parlamentari del Pd firmano un documento per sostenere le ragioni del 'No' al referendum costituzionale. L'iniziativa era stata lanciata pochi giorni fa dal senatore Walter Tocci ed e' stata raccolta dai dieci esponenti dem. Si tratta di Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco.
"I firmatari di questo documento sono parlamentari del Pd che voteranno no al prossimo referendum costituzionale. Con la consapevolezza che la propria e' posizione in dissenso da quella deliberata dal Pd, ma nella convinzione che essa possa essere da noi assunta grazie al carattere liberale dello statuto del partito, il quale mette in conto che non si dia un vincolo disciplinare quando sono in gioco principi e impianto costituzionale. Una posizione, la nostra, che confidiamo possa essere doppiamente utile", si legge nel documento.
Da un lato, i parlamentari Pd si propongono di contribuire "a centrare il confronto sul merito della riforma, anziche' su pregiudiziali posizioni di schieramento". Dall'altro, per dare voci a quegli iscritti, militanti ed elettori Pd i dissenso con la linea ufficiale del partito. Ma oltre a questo, ci sono considerazioni di merito che i parlamentari sottolineano una ad una: "Le riforme costituzionali, pur necessarie, non rappresentano la priorita' in agenda", viene sottolineato ancora, nel documento. C'e' poi la sproporzione tra l'obiettivo che ci si propone e il mandato degli elettori: "Conosciamo la sentenza n. 1 del 2014 che autorizza l'operativita' del parlamento ancorche' eletto con il Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Ma una cosa e' la sua operativita' ordinaria, altra cosa e' la riscrittura di ben 47 articoli della Costituzione, un ridisegno della sua seconda parte (per altro gia' rinnovata in taluni suoi articoli), per il quale si richiederebbero ben altra autorevolezza e forse un piu' esplicito mandato da parte degli elettori.
Abbiamo la memoria corta: dopo l'esito delle elezioni politiche del 2013, dalle quali non e' sortita una maggioranza, era opinione unanime che si dovesse dare vita a un governo istituzionale che portasse entro un anno a nuove elezioni, non a governi o a una legislatura costituenti". In sintesi, "la nostra opinione e' che la riforma non riesca a perseguire gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di conferimento di efficienza e di efficacia al sistema istituzionale. Piu' specificamente, essa disegna un bicameralismo confuso - va da se' che siamo favorevoli al superamento del bicameralismo paritario - nel quale il Senato, privo per altro di adeguata autorevolezza e rappresentativita', rischia semmai di costituire un ulteriore ostacolo al processo decisionale; un procedimento legislativo farraginoso e foriero di conflitti; un Senato la cui estrazione locale mal si concilia con le rilevanti competenze europee e internazionali affidategli; una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto Stato-regioni che revoca il principio/valore delle autonomie ex art. 5 della Carta (paradossalmente ignorando l'esigenza di ripensare le regioni ad autonomia speciale); una complessiva alterazione degli equilibri, delle garanzie e dei bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a vantaggio del governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall'Italicum; il conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori dell'istituto dell'immunita' sino a oggi riservato ai soli rappresentanti della nazione in senso proprio".
Oltre al merito, ci sono le considerazioni riguardo al metodo seguito fin qui per riformare la Carta Costituzionale: "Le revisioni costituzionali sono materia parlamentare per eccellenza. Nel nostro caso, l'intero processo e' stato ideato, gestito, votato dal governo, per altro facendo appello a motivazioni giuste ma francamente incongrue rispetto alla portata della riforma quali la riduzione dei costi". Infine una ragione politica, che riguarda il Partito Democratico e, piu' complessivamente, l'evoluzione del sistema politico. "Non e' un mistero che, anche a motivo della impropria drammatizzazione politica della questione, si attende il referendum come uno spartiacque. Al punto che vi e' chi rappresenta il fronte del si' come il laboratorio di uno schieramento o addirittura di un partito che muova dal PD, ma che vada oltre il Pd. Una sorta di partito unico di governo, posizionato al centro, che si concepisce come alternativo alla destra e alla sinistra. Una prospettiva, per noi, tre volte sbagliata: perche' snatura il confronto referendario; perche' allontana il sistema politico dalla fisiologia di una competizione tra centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle; perche' altera il profilo costitutivo del Pd quale partito di centrosinistra, ancorche' non presuntuosamente autosufficiente, nel solco dell'Ulivo". (AGI)