CdV - "Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all'interno della sua vita pubblica". Lo scrive Papa Francesco in una lettera alla Pontificia Commissione per l'America Latina. Secondo il Papa, "è illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta". "Al contrario - spiega Francesco - dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell'immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale. E questo discernendo con la nostra gente e mai per la nostra gente o senza la nostra gente". In merito, il Papa cita sant'Ignazio de Loyola, che raccomanda una pastorale "secondo le necessità di luoghi, tempi e persone". Ossia non uniformando". "L'inculturazione - spiega - è un processo che noi pastori siamo chiamati a stimolare, incoraggiando la gente a vivere la propria fede dove sta e con chi sta. L'inculturazione è imparare a scoprire come una determinata porzione del popolo di oggi, nel qui e ora della storia, vive, celebra e annuncia la propria fede. Con un'identità particolare e in base ai problemi che deve affrontare, come pure con tutti i motivi che ha per rallegrarsi. L'inculturazione - ricorda Bergoglio - è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a fabbricare mondi o spazi cristiani".
Francesco mette in guardia anche i laici dal rischio del clericalismo, un atteggiamento che li trasforma in aiutanti dei preti, mentre la loro vocazione è un'altra, del tutto autonoma. "Molte volte - rileva il Papa - siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s'impegna come cristiano nella vita pubblica. Senza rendercene conto, abbiamo generato una èlite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose 'dei preti', e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non puo' vedere, perché è piu' preoccupato a dominare spazi che a generare processi. Dobbiamo pertanto riconoscere che il laico per la sua realtà, per la sua identità, perchè immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica, perchè partecipe di forme culturali che si generano costantemente, ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede". (AGI)