L'energia “che move il sole e l'altre stelle”, si potrebbe parafrasare la celebre citazione dantesca per raccontare il sogno di un’energia pulita e inesauribile. Perché è proprio il meccanismo che “accende” le stelle quello che è stato riprodotto, in maniera sicura e controllata dal Commonwealth Fusion Systems (CFS), società spin-out del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, di cui il gruppo Eni è il maggiore azionista. Il CFS ha infatti portato a termine con successo il primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva HTS (HighTemperature Superconductors) che assicura il confinamento del plasma nel processo di fusione.
Tecnicamente si chiama proprio “Fusione a confinamento magnetico” e, semplificando, si tratta di creare le condizioni per cui i nuclei di due elementi leggeri (come trizio e deuterio, isotopi dell’idrogeno), raggiungano uno stato della materia - il plasma - in cui superino le forze repulsive e si fondano in un nucleo di elio, processo che libera quantità enormi di energia senza lasciare scorie. Tutto questo a partire da un elemento, l’idrogeno appunto, disponibile praticamente all’infinito sulla Terra. Il nostro Sole funziona così e per contenere l’immensa energia che questa “stella in miniatura” ricreata in laboratorio è in grado di generare è stata creata una “scatola” speciale: un potentissimo campo magnetico che contiene il plasma e controlla l’energia.
Tutto nasce dalle scoperte che hanno portato Johannes Georg Bednorz e Karl Alexander Müller a essere insigniti del Premio Nobel per la fisica nel 1987. Gli studi dei due scienziati infatti sono alla base della tecnologia HTS (REBCO – Rare Earth Barium Copper Oxide), ovvero quella grazie alla quale sono stati realizzati i superconduttori utilizzati per la parte attiva di un magnete da 10 tonnellate. Questa struttura è stata attraversata da una corrente elettrica a 40.000 Ampere e raffreddata tramite elio liquido, a -253.15 gradi centigradi, per poter così generare un potente campo magnetico, con una densità di 20 Tesla, entro cui è stato confinato il plasma a oltre 100 milioni di gradi centigradi.
L’energy company italiana è protagonista della ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, che costituisce una vera e propria rivoluzione in campo energetico perché, una volta sviluppata a livello industriale, permetterebbe di avere a disposizione una fonte di energia pulita, sicura e praticamente inesauribile. L’innovazione tecnologica rappresenta, infatti, uno dei pilastri della strategia di decarbonizzazione di Eni, che punta al completo abbattimento delle emissioni di processi industriali e prodotti entro il 2050.
La partecipazione in CFS rientra in un programma avviato da tempo da Eni che prevede impegni su più fronti, fra cui la collaborazione con il MIT ad un programma scientifico direttamente, denominato LIFT (Laboratory for Innovation in Fusion Technology) volto ad accelerare l’individuazione di soluzioni in termini di materiali, tecnologie superconduttive, fisica e controllo del plasma. Accanto a questo la partecipazione al progetto DTT (Divertor Tokamak Test facility) lanciato dall’ENEA, per l’ingegnerizzazione e la costruzione di una macchina Tokamak, dedicata alla sperimentazione di componenti in grado di gestire le grandi quantità di calore che si sviluppano all’interno della camera di fusione. Eni, oltre a collaborare con importanti enti di ricerca, ha messo a disposizione della ricerca il supercalcolatore HPC5 che, con la sua grande potenza di calcolo, permette di utilizzare modelli matematici molto complessi per descrivere la fisica del plasma e simularne il comportamento. Lo sviluppo della fusione a confinamento magnetico è una sfida di livello mondiale che coinvolge molte eccellenze internazionali in ambito scientifico-tecnologico e industriale e che vede l’Italia fra i principali protagonisti. Quando la fusione sarà diventata tecnologicamente matura da poter essere utilizzata a livello industriale, finalmente avremo energia pulita, sicura e sostenibile, prodotta da centrali elettriche alimentate da reattori a fusione. Un solo un grammo di combustibile per la fusione contiene infatti l’energia equivalente a quella di oltre 60 barili di petrolio. Grandi insediamenti produttivi e urbani potranno così essere alimentati senza alcun rilascio di gas serra, mentre impianti di dimensioni più piccole, integrati con le fonti rinnovabili, forniranno energia a comunità più piccole.
Si tratta di una strada ancora lunga ma conduce verso una completa decarbonizzazione del mix energetico e a un futuro realmente sostenibile.