La figura di Eugenio Monti, classe 1928 da Cortina d’Ampezzo, è un punto di riferimento nella storia dello sport italiano. Le sue imprese forse ai più giovani non dicono alcunché, ma non vanno dimenticate. Grinta da vendere, negli occhi la voglia di vincere e la chioma fulva al vento. Il Rosso volante, come lo soprannominò il giornalista sportivo e scrittore Gianni Brera. Oggi, per semplicità, possiamo riassumere i fatti dicendo che Monti è il più grande bobbista azzurro per la quantità di medaglie raccolte tra Olimpiadi (6) e Mondiali (10). Ma nella vita di questo campione ci sono da narrare i dettagli.
La storia della sua vita è un racconto tanto esaltante quanto triste e disperato nel finale. Un uomo innamorato dell’azione, con valori profondi e non trattabili come l’amicizia e il rispetto degli avversari. Ma con una fragilità che emerge una volta terminata la carriera da sportivo. Una carriera iniziata proprio a Cortina d’Ampezzo nello sci alpino: si “butta giù” dai pendii innevati e va veloce, velocissimo. A soli 23 anni, nel 1950, è una stella già splendente nel cielo degli sport invernali azzurri e capace di battere in discesa libera Zeno Colò, che poi vincerà la medaglia d’oro ai Giochi di Oslo del 1954.
Dalla neve al ghiaccio
Colò vince le Olimpiadi, perché Monti non scia più. Nel 1951 arriva il primo infortunio con la rottura dei legamenti del ginocchio, nel 1952 un secondo infortunio chiude la sua carriera sugli sci. Si apre quella sul bob, che sceglie perché la sua città è la culla italiana della specialità. Nel 1954 arrivano le prime vittorie e i primi sviluppi tecnologici nell’uso dei materiali: Monti non è solo abile a pilotare il bob nei budelli ghiacciati, ma è veloce nel capire quali materiali utilizzare e quali accorgimenti meccanici apportare per rendere il mezzo sempre più performante. Perché, oltre al bob, al Rosso volante piace andare forte anche in auto.
Nel 1957, in coppia con Renzo Alverà, vince il primo oro mondiale nel bob a due. Ai Giochi di casa, a Cortina nel 1956, vince due medaglie d'argento: nel due (ancora con Alverà) e nel quattro (con Girardi, Mocellini e Alverà). Nel 1960, sempre a Cortina, diventa campione mondiale sia nel due che nel quattro. A Innsbruck 1964 vince due medaglie di bronzo con Sergio Siorpaes nel bob a due e con Siorpaes, Rigoni, Gildo Siorpaes nel bob a quattro.
Sportivo leale, ma fragile
L’edizione austriaca del 1964 proietta Eugenio Monti nell’immortalità grazie a un gesto di sportività memorabile. Presta al duo britannico Nash-Dixon un suo pezzo di ricambio per sostituire quello che avevano rotto. Alla fine, proprio i rivali vincono la medaglia d’oro e Monti-Siorpaes si accontentano del bronzo. “Grazie a Monti siamo in testa, il suo gesto leale è la cortesia più grande che io abbia mai ricevuto come sportivo in vita mia”, dice Nash a fine gara. La stampa italiana critica invece il gesto e Monti risponde: “Nash non ha vinto perché gli ho dato il bullone. Ha vinto perché è andato più veloce”.
Per questo episodio, vera quintessenza dell’olimpismo, il CIO lo premia con la medaglia Pierre De Coubertin ed è il primo atleta della storia a vincerla. Conosciuta anche come "medaglia del vero spirito sportivo" viene considerata come il più grande premio che un atleta possa ricevere, persino più grande di una medaglia d'oro. Proprio il Comitato Olimpico Internazionale lo considera la sua più alta onorificenza.
E quattro anni dopo, a Grenoble 1968, ormai quarantenne, Monti chiude la sua carriera raggiungendo quell’oro sempre sfuggito in precedenza vincendo nel bob a due e a quattro. Diventa tecnico della nazionale e poi anche presidente di due società di impianti di risalita. Ma questo non basta a calmare il suo animo inquieto e quando la vita lo mette davanti a sofferenza (la separazione dalla moglie e il morbo di Parkinson) e dolore (la morte del figlio per overdose) decide che è tempo di andarsene di sua volontà: è il primo giorno di dicembre del 2003. A lui, il Rosso volante, è dedicata la pista da bob e slittino di Cortina d’Ampezzo.