AGI – Non è un’Italia campionessa dei diritti umani quella dipinta durante la presentazione, avvenuta in contemporanea su tutto il territorio nazionale, del Dossier Statistico Immigrazione 2024, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos, in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto Di Studi Politici San Pio V, con il sostegno dell’otto per mille della Chiesa Valdese. Un lavoro plurale - che conta il contributo di oltre un centinaio di autori - diventato ormai un documento di riferimento per illustrare il panorama migratorio dell’Italia attraverso un’analisi ragionata dei dati statistici più aggiornati forniti sia da fonti amministrative sia da indagini condotte sul territorio.
Tasse e contributi, ecco perché i migranti fanno bene all'economia
Secondo l’analisi approfondita contenuta nel Dossier, gli stranieri presenti in territorio italiano apportano un contributo positivo all’economia. A partire dai dati presentati dagli esperti di Idos, gli stranieri contribuiscono significativamente alle entrate fiscali attraverso le tasse sui redditi e i contributi previdenziali, i quali superano i costi sostenuti dallo Stato per la loro accoglienza e integrazione.
Gli stranieri costano meno del 6% della spesa pubblica, la metà degli italiani
Il totale delle spese per i cittadini stranieri si attesta a circa 32,5 miliardi di euro, pari a meno del 6% della spesa pubblica complessiva, mentre il costo pro capite per i cittadini italiani è quasi il doppio rispetto a quello degli stranieri, quantificabile in circa 11mila euro per gli italiani contro i 6,4mila euro per gli stranieri. Inoltre, nel 2023, il reddito degli stranieri si è attestato inferiore di un terzo rispetto a quello degli italiani, mentre a maggio di quell’anno, solo il 3% degli immigrati aveva fruito dell’assegno di inclusione.
Nonostante il saldo positivo della presenza straniera, gli autori del Dossier constatano che l’Italia, e più generalmente l’Unione europea, negli anni ha risposto alle migrazioni con norme più severe per restringere l’accesso ai propri confini, nonché patti per bloccare migliaia di migranti in condizioni disumane in Tunisia e in Libia, o ancora il Protocollo firmato con l’Albania per l’allestimento e la gestione di due centri, Shengjin e Gjader, nei quali possono essere condotti migranti “esclusivamente su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Ue, anche a seguito di operazioni di soccorso”. Il risultato "è un drammatico aumento del numero di persone che – trovando sbarrate le poche vie legali di ingresso (come i corridoi umanitari e i progetti di resettlement) – si vede costretto a intraprendere rotte irregolari e pericolose, sia via mare che via terra, affidando la propria vita a trafficanti senza scrupoli”, si legge nel rapporto Idos.
Di fatto, come documentato dal progetto a cura dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) “Missing migrants”, tra 2014 e agosto 2024, almeno 68mila migranti sono deceduti o scomparsi nel tentativo di attraversare le frontiere (Ue).
Senza vie legali per entrare in Ue aumentano gli irregolari e le morti
“Uno su tre è morto mentre fuggiva da un conflitto. Nel Mediterraneo, hanno perso la vita almeno 30.294 persone (ma probabilmente altrettante sono state le vittime di naufragi non intercettati). Solo nel 2023 si sono registrate 3.155 vittime, e altre 1.390 nei primi otto mesi del 2024, in un contesto di totale assenza di operazioni di ricerca e soccorso da parte di governi o istituzioni comunitarie.
Le 'fosse comuni' nel Mediterraneo e nel Sahara
Le rotte più pericolose sono spesso precluse all’intervento delle organizzazioni umanitarie. Tra il 2023 e l'agosto del 2024, ulteriori 608 persone sono morte attraversando il Sahara”, prosegue il documento, citando l’Iom e l’Unhcr durante il Consiglio di sicurezza Onu dello scorso 30 settembre: “Mediterraneo e Sahara si stanno così trasformando in fosse comuni per i migranti”.
In Italia, riferisce il Dossier, gli immigrati si riscontrano complessivamente in mestieri manuali, mal remunerati e con il rischio di infortuni; sei su dieci conducono mansioni operaie o non qualificate, mentre meno di nove su 100 svolgono professioni qualificate.
Per i migranti lavori poco qualificati anche se istruiti
Del resto, oltre un terzo degli stranieri che lavorano in Italia è sovraistruito rispetto al suo mestiere. Gli immigrati contribuiscono in modo particolare al settore agroalimentare, all’edilizia, al magazzinaggio e ai trasporti: in agricoltura, rappresentano il 18% della manodopera, una quota che sale alle stelle nei lavori domestici (come pulizie di case e servizi di badante), svolti al 62,5% da stranieri. Tale dato acquisisce un’importanza specifica alla luce dell’appena trascorso quarto anno consecutivo con il tasso di natalità più basso della storia dell’Italia.
Il Dossier Statistico mette anche in luce che vi è ancora un elevato livello di irregolarità e invisibilità, con problematiche di cittadinanza sociale e politica, che impediscono a molti immigrati di integrarsi completamente nella società. Inoltre, secondo i dati analizzati, il 40% degli stranieri residenti in Italia è a rischio di povertà o di esclusione sociale. È altrettanto preoccupante osservare che gli alunni stranieri, che costituiscono il 13,3% degli iscritti nelle scuole primarie italiane, scendono all’8,4% del totale alle superiori, mentre appena più di un terzo dei diplomati stranieri in Italia decide di iscriversi all’università.
Dall'Africa solo 1/5 dei migranti. Tre grandi città italiane sono le più gettonate
Nello specifico, la comunità di provenienza africana rappresenta solo un quinto del totale degli stranieri presenti in Italia, che, nel 2023, si sono attestati in totale a circa 5,3 milioni, posizionando il Paese al quarto posto in Unione Europea per il numero di residenti stranieri registrati, dietro a Germania (dove sono oltre 12 milioni gli stranieri residenti), Francia e Spagna.
Da sole, Roma, Milano e Torino raggruppano quasi un quarto degli stranieri residenti in Italia. Gli africani in Italia sono principalmente cittadini di Paesi dell’Africa settentrionale e occidentale. Più precisamente, i Paesi mediterranei contano 654.800 presenze (18,2%) mentre l’area occidentale ne conta 342mila (9,5%); le comunità nazionali più rilevanti sono, nell’ordine, la marocchina (seconda nella graduatoria generale con 371.800 soggiornanti, il 10,3% del totale), l’egiziana (sesta con 160.200 e 4,4%) e la tunisina (decima con 99.700 e 2,8%) per il Nord Africa, e la senegalese (12esima con 97mila e 2,7%) e la nigeriana (14esima con 96.100 e 2,7%), per il l'Africa occidentale.
Le comunità nordafricane si distinguono per il forte radicamento familiare e territoriale, sebbene presentino anche vulnerabilità economiche, con bassi tassi di occupazione femminile e un’alta percentuale di giovani Neet (Not in Education, Employment, or Training), mentre le comunità dell’Africa occidentale contribuiscono anche a piccoli commerci e servizi, nonostante permangano difficoltà economiche e sociali nella loro integrazione. Invece dall’Africa Orientale e Centro-Meridionale proviene un totale di soli circa 60.000 residenti. Anche in questo caso, il lavoro agricolo stagionale è una realtà comune a queste comunità.
Il divario tra realtà e percezione: a migrare è solo il 3,5% della popolazione globale
Tra tutti quei numeri, bisogna infine rilevare che i migranti sbarcati in Italia nel 2023 appartengono a questo flusso di spostamenti - denunciato da alcuni come gigantesco, anche se i migranti internazionali non rappresentano che il 3,5% della popolazione globale - dal sud al nord del mondo: quel nord che ospita solo un sesto degli abitanti del pianeta, ma che offre loro un Pil pro capite quattro volte superiore a quello dei Paesi del sud. Un tenore mantenuto - a volte a scapito di chi ha meno - nonostante i conflitti nel mondo abbiano raggiunto lo scorso anno il numero più alto registrato dal 1946.