"La diffusione di smartphone e social media ha provocato un terremoto di magnitudine alta come non era mai stata registrata prima. Ci sono forti evidenze che i telefoni che abbiamo messo nelle mani dei ragazzi stiano avendo effetti assai profondi nelle loro vite, rendendoli seriamente più infelici". Lo spiazzante, terribile ritratto degli adolescenti americani e del rapporto con i loro telefoni cellulari, è di Jean M. Twenge, psicologa ed esperta di generazioni a confronto. L'autorevole rivista Atlantic ospita un'anticipazione di "iGen", il suo atteso saggio, in libreria dal prossimo 22 agosto. Un libro dedicato appunto ad una generazione di ragazzini incapaci di concepire la propria esistenza che non contempli l'utilizzo costante di iPhone e similari. Una generazione impossibilitata a sentirsi viva se priva di quella che considerano l'unica connessione possibile, ovvero quella alla rete internet.
Definizione della generazione iGen
La professoressa, che insegna psicologia all'università di San Diego, studia da 25 anni le differenze e le interazioni tra generazioni. Negli ultimi anni si è occupata in particolare di temi legati al rapporto degli giovani con tecnologia e social media. Il sottotitolo del libro è un manifesto assai preoccupante: "Perchè i ragazzi di oggi super-connessi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e completamente impreparati alla vita adulta. E cosa significa per tutti noi". Nella categoria iGen, termine coniato da Twenge, appartengono i ragazzi nati tra il 1995 e il 2012, adolescenti in cui carattere, abitudini e sentimenti sono profondamente influenzati e modellati dall'uso di smartphone e social media. Si tratta di persone, insomma, che neppure ricordano l'era pre-internet. Sicuramente più connessi dei Millennial, che pur essendo tecnologici e social, non raggiungono il grado di dipendenza dei fratellini.
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Una diversa concezione del tempo
Per la ricercatrice la differenza più evidente non è solo legata alla loro concezione mondo, come invece accadeva nel confronto tra le generazioni del passato; piuttosto essi differiscono nel modo in cui trascorrono il tempo. La data fatidica, per Twenge, è da considerarsi il 2012. è in quell'anno che la professoressa nota come i grafici in cui raccoglie, analizza e compara i comportamenti sociali, cominciano a mostrare interessanti cambiamenti. Ebbene in quell'anno gli Stati Uniti raggiungono un interessante traguardo: la percentuale dei possessori di smartphone supera il 50% della popolazione. Oggi la diffusione è ancora più pervasiva, perchè secondo un recente sondaggio, nel 2017 tre adolescenti americani su quattro hanno un iPhone. Eppure la loro vita non è migliorata rispetto a quella dei fratelli più grandi. Secondo la ricercatrice la generazione iGen è più fragile psicologicamente e soprattutto ha perso gli aneliti che caratterizzavano i ragazzi che l'hanno preceduta. Innanzitutto il desiderio di indipendenza e di libertà. Gli adolescenti contemporanei escono senza i genitori molto meno di quanto facessero i loro coetanei della generazione precedente.
La cameretta diventa un universo
Un esempio: i ragazzi all'ultimo anno del liceo del 2015 uscivano meno di quanto facessero i ragazzi in terza media nel 2009. Gli iGen hanno eletto la loro cameretta a luogo prediletto per la maggior parte delle ore della giornata. è qui che "vivono" chattando con gli amici, scambiandosi foto, controllando ossessivamente i loro profili social. Escono anche meno per appuntamenti più o meno romantici. Se nel 2015 è andato ad un appuntamento il 56% dei ragazzi agli ultimi anni delle superiori, i coetanei negli anni dei Baby Boomers e della Generazione X arrivavano all'85%. E ciò ha inciso profondamente anche nell'attività sessuale, decisamente in calo (-40% dal 1991).
I teenager americani, poi, sembrano aver perso tutto l'entusiasmo per la patente e la prima macchina, sognati negli anni passati come incontrovertibile segno di indipendenza da mamma e papà. Oggi i ragazzi iniziano a guidare sempre più tardi, perchè possono contare su genitori disponibili a scarrozzarli a piacimento. Inutile dire che è calato anche il numero dei ragazzi che scelgono di lavorare part-time per mettere da parte un pò di denaro. Le ricerche di Twenge descrivono una generazione che sta protraendo i limiti dell'adolescenza: i diciottenni di oggi si comportano come i quindicenni di ieri; i quindicenni di oggi, invece, ne dimostrano tredici.
Dito puntato contro Facebook
L'immobilità al chiuso delle loro stanza, però, non determina alcun incremento nello studio: i ragazzi di oggi non sono più diligenti, anzi hanno risultati più modesti. Come pure il trascorrere tante ore in casa non equivale ad un dialogo maggiore con i genitori, piuttosto è vero il contrario. "Interagisco con persone al telefono, più di quanto faccia con persone reali, in carne ed ossa" dice una ragazzina intervistata dalla ricercatrice. Ed è così per quasi tutti, visto che dal 2000 al 2015 il numero dei ragazzi che uscivano regolarmente con gli amici, è calato più del 40%. Quel che impressiona è però il portato complessivo di questo atteggiamento. I ragazzi iGen non sono più felici dei loro fratelli maggiori, anzi sono decisamente più tristi. Il sondaggio Monitoring the Future del National Institute on Drug Abuse ha stabilito che tra i ragazzi alla fine del liceo quelli che trascorrono più ore con un telefono o un computer sono più infelici di quelli che invece ne spendono di meno. Per la professoressa non ci sono dubbi: le attività davanti allo schermo sono collegate alla tristezza, quelle lontane da uno screen lo sono alla felicità. I giovani in terza media che trascorrono 10 o più ore settimanali sui social media sono più infelici al 56%. Dito puntato, ovviamente, contro Facebook, secondo diversi altri studi presi in considerazione.
Più connessione uguale più solitudine?
Se la promessa, dice Twenge, è quella di connettere più amici e farsene sempre di nuovi, i social media come Facebook stanno rendendo la generazione iGen sempre più sola. E depressa, visto che secondo uno studio i ragazzi alle medie che fanno un uso massiccio di social media aumentano del 27% il rischio di depressione. Cifre spaventose anche quelle legate ai suicidi: chi trascorre più di 3 ore al giorno su un dispositivo come un telefonino è esposto al rischio 35% di più. Le più vulnerabili sono le ragazze utenti di social media. Rispetto al 2010, nel 2015 il 48% in più delle ragazze ha dichiarato di sentirsi spesso esclusa. La percentuale per i maschi è invece aumentata del 27%. Ma i danni dei telefoni non si fermano qui.
L'abitudine a dormire con il proprio smartphone sotto il cuscino o accanto al letto, controllando durante la notte aggiornamenti e post, ha ripercussioni molto negative sulla qualità e le ore di sonno, con conseguenze anche gravi che si ripercuotono sulla lucidità, sul rendimento a scuola, sull'aumento di peso, sulla pressione sanguigna. Ed indirettamente anche sul rischio di depressione. Nei prossimi dieci anni, dice sarcastica la psicologa, potremmo vedere adulti che sanno usare la giusta emoji per ogni situazione, ma non la giusta espressione facciale. L'allarme della professoressa è rivolto ai genitori. Il quadro è disastroso e non usa mezzi termini: la relazione tra depressione e smartphone è talmente evidente che i genitori dovrebbero imporre ai figli di mollare i propri telefoni. D'altra parte, ricorda, anche Steve Jobs obbligava i suoi figli a un uso limitato dell'iPhone che lui stesso aveva creato. La posta in gioco è troppo alta. Non si tratta solo del modo in cui i ragazzi affrontano un momento difficile come l'adolescenza, ma anche le conseguenze che essa avrà nella loro vita adulta.