AGI - Dallo smart working, praticato da casa, allo smart working da qualsiasi città in cui ci possa trovare o anche trasferire. È la nuova tendenza dell’e-residency per i nomadi digitali. Ispirata al progetto Tulsa remote working, il nuovo corso ha preso le mosse negli Stati Uniti in piena era lockdown, a Tulsa, seconda città più grande dello Stato dell’Oklahoma, la 47esima più popolosa degli Stati Uniti, che ha lanciato un appello ai lavoratori a distanza per trasferirsi: “Ti pagheremo per lavorare da Tulsa”, il motto, offrendo in partenza 10.000 $ quale somma forfettaria per incentivare, ad esempio, l’acquisto di una casa.
Dall’inizio della pandemia Tulsa ha registrato oltre 10 mila domande di trasferimento per poter andare a lavorare in condizioni ritenute vantaggiose all’interno d’una comunità che mette a disposizione spazi di coworking e fornisce occasioni di lavoro e collaborazioni con altri imprenditori locali. “Ho un figlio di tre anni ed è stato davvero un bene per lui e per la nostra famiglia stare qui. Siamo in grado di permetterci un posto più grande in cui vivere. Abbiamo un cortile in cui giocare. E alcune di queste cose che non potevamo permetterci in California si sono rese più facili da fare qui a Tulsa”, dichiara Stefania Lloyd, di Santa Barbara, coordinatrice di eventi, nel corso di una delle tante testimonianze che si trovano pubblicate sul sito.
Sulla stessa falsariga, a partire da dicembre scorso la Fondazione Venezia, organizzazione per la tutela del patrimonio culturale cittadino, e l’Università di Ca’ Foscari hanno promosso il progetto “Venywhere” per incoraggiare la diffusione nella città lagunare di un nuovo modello di residenzialità legato, in particolare, ai cosiddetti anywhere workers, lavoratori da ogni dove e allo stesso tempo da nessun luogo in particolare, con lo scopo di combattere o, quantomeno, arginare lo spopolamento della città arrivata al suo minimo storico di abitanti: 50 mila contro i 174 mila degli anni Cinquanta. E invertire così il declino residenziale favorendo una forma di ripopolamento cittadino con lavoratori disponibili a trasferirsi in laguna per un periodo di tempo: da un minimo di sei mesi a un anno e anche più, l’augurio recondito.
I promotori di “Venywhere” ritengono infatti che Venezia sia un laboratorio ideale per poter sperimentare e favorire nuovi metodi di lavoro e di residenza trascorrendovi più tempo anziché una semplice vacanza. Anche Firenze, nel corso dell’aprile di un anno fa, ha lanciato un programma similare e la speranza è che le città d’arte che sono più dipendenti dal turismo di massa e dal fenomeno della gentrificazione possano riscattarsi, arricchendosi di nuove energie attivando una offerta di nuovi servizi e opportunità economiche per la comunità locale.
Il fenomeno del lavoro da remoto è infatti ormai diventato una componente importante e irreversibile del nuovo panorama lavorativo mondiale post Covid-19 e sue varianti, e offre al tempo stesso un’opportunità senza precedenti per ripensare il ruolo delle città e la loro stessa organizzazione, attraendo imprese e lavoratori qualificati. Sul sito della Fondazione Venezia si può infatti leggere che spesso “si tratta di ‘lavoratori della conoscenza’ che in città storiche come Venezia possono trasformarsi in una specifica categoria di residenti temporanei, tanto più numerosa quanto più perfezionati sono i dispositivi messi a disposizione per l’individuazione di abitazioni funzionali alle loro particolari esigenze.
Questa specifica categoria di residenti crea una nuova dimensione nelle dinamiche abitative, rivitalizzando e rafforzando la domanda di servizi dei residenti ‘ordinari’”, cosicché la presenza di questi lavoratori “può risultare strategica per il consolidamento di attività di vicinato, artigianali, commerciali e di servizio in senso stretto, contribuendo altresì al loro sviluppo”.
Per quanto riguarda Venezia il progetto partirà a pieno regime dal prossimo settembre ma già dall’imminente mese di marzo avrà luogo una fase pilota di sperimentazione in collaborazione con Cisco, azienda leader mondiale delle tecnologie abilitanti le modalità di lavoro innovativo. Sedici dipendenti della società di San Josè in California, provenienti però da diversi paesi europei, testeranno infatti per tre mesi questa nuova esperienza, sperimentando non solo la funzionalità della piattaforma “Venywhere” e l’impatto che tutta l’iniziativa potrà avere sulla città di Venezia, comprese le tecnologie del futuro del lavoro e tutte le forme di collaborazione tra le persone e i team che vi sono distribuiti.
Attiva da sole poche settimane, la piattaforma “Venywhere” ha già registrato l’interesse di oltre 15 mila persone con oltre 1.200 iscrizioni di workers disponibili al trasferimento in laguna per aprirsi ad una nuova modalità di lavoro e di vita in una città nuova come Venezia, attiva e al tempo stesso coinvolgente. Trenta-quarantenni per lo più provenienti dagli Usa e dal Nord Europa disposti a far base in città per un periodo di sei mesi base. Ma la Fondazione Venezia si augura che essi possano anche restare e dar vita così ad una nuova colonia di residenti. Secondo uno slogan: “Workers from anywhere”, lavoratori da qualsiasi luogo.