AGI - Antonio Marras, direttore creativo dell’etichetta Kenzo dal 2003 al 2011, e il designer giapponese Kenzo Takada, morto ieri a Parigi per coronavirus, condividono la simpatia, la curiosità per il mondo; e un bagno in piscina in mutande alle tre del mattino al matrimonio di un'amica in comune. Otto anni di direzione creativa che Marras vive “pericolosamente” a Parigi, fatti di incontri favolosi, il primo dei quali con Kenzo. Memorabile l'inaugurazione del negozio a Place de Victoires, per i quarant'anni della maison, che Marras aveva rivoluzionato, trasformando la piazza in giardino.
Per Marras, Kenzo è un grande precursore, il più occidentale dei giapponesi, racconta dopo aver calmato un po' il suo cane, che si chiama Piero. A Parigi “era l'ora di Yohji (Yamamoto), molto concettuale, nero nero nero, e lui arriva con una valanga di colori, con il suo caos ordinato.” Come Kenzo, Marras - originario della Sardegna - viaggia molto e si confronta con tradizioni di costume molto forti. “Kenzo amalgama culture diverse con la tradizione europea della haute couture”, spiega Marras. “Il nostro modo di vivere era simile, il desiderio di spostarsi per conoscere, incontrare, e poi però tornare. La voglia di andare, restando”.
Kenzo, nel poverissimo Giappone del dopoguerra, guardava moltissimi film americani e la dimensione del racconto evocato per immagini e suoni lo accompagnerà sempre, come nel lavoro di Marras. Nelle loro sfilate, che sono racconti spettacolari, le arti sono chiamate a evocare i fantasmi della moda, “lui fece ballare le prime indossatrici, ha sfilato in un circo, è uscito in passerella su un elefante. La sua moda è gioiosa, il colore, i fiori, i gonnelloni, le camicie Frida Kahlo, le vite che riusciva ad amalgamare e la capacità di dare vita”. Il lavoro dei due designer è la testimonianza che la sfilata di moda dal vivo è uno spettacolo insostituibile, e che le barriere ci sono ma possono essere infrante.
Per Marras, Kenzo ha anche creato “nuovi schemi per i designer del futuro, per fare le cose in modo nuovo, in lui il folk e la tradizione incontravano il contemporaneo, il quotidiano; la sua è la prima moda democratica, con un prezzo abbordabile”. L'esperienza da Kenzo gli ha lasciato un metodo, dato che al suo arrivo la maison era nell’anarchia e da “sardo svizzero” la riorganizza a modo suo, lavorando senza sosta, con lo staff incredulo. Ma soprattutto resta il ricordo di un uomo gentilissimo, sorridente, un “giapponese napoletano” che amava far festa.