L a parola chiave di questi anni Venti del terzo millennio è: intolleranze. Non politiche, sociali o ideologiche, bensì alimentari. Che sono sempre più diffuse e in aumento tra la popolazione. Ciò che per esempio sta creando un grande scompiglio tra i tavoli e le cucine dei ristoranti, mettendo in crisi chef stellati e non, costretti a fare i salti mortali pur di soddisfare le esigenze di una clientela sempre più esigente e quanto più variegata nelle richieste specifiche. Ciò che comporta una drastica quanto repentina riconsiderazione e revisione dei menù.
È sempre più frequente, ormai, imbattersi nello chef o nel cameriere che - nel raccogliere l’ordinazione - si rivolga al cliente chiedendo: “C’è qualcuno che ha qualche intolleranza?” Oppure: “Intolleranze particolari?” Come se si trattasse di una variazione sul teme e sul menù del giorno. E di fatto lo è. Come chi, di fatto, pretende di ordinare melanzane alla parmigiana “senza formaggio”. Impossibile.
Quel che fa impressione non è il caso singolo ma ormai la mole, la particolarità e la personalizzazione delle richieste: “Potrei avere della pasta senza glutine?” O, ancora: “E di grano saraceno?” Per non respingere la clientela gli chef devono essere disponibili a qualsiasi variazione dell’ultima ora. Ma per affrontarla si devono organizzare, preparare con ingredienti alternativi dando fondo alla fantasia.
Le categoria delle intolleranze è varia. Ci sono le intolleranze al glutine e ai cereali; alle carni bianche e rosse; a ortaggi, tuberi, funghi e legumi; a pesce e crostacei; alla frutta, secca o alle spezie; poi ci sono le intolleranze al lattosio, all’uovo, al lievito, al miele, alla caffeina ma anche alla teina, quelle più comuni e diffuse. Quindi le intolleranze particolari, rare e specifiche, difficili da poter raccogliere in una catalogazione precisa. E sono l’incubo d’ogni chef. L’imprevisto. E imprevedibile.
Intolleranze e allergie crescono di anno in anno, anche se sono cose assai differenti tra loro. Si verificano per cause diverse, come il mutare delle condizioni ambientali o climatiche. Per lo smog. L’umidità. Le nebbie. E per il regredire delle nostre difese generali. Secondo le statistiche si sono triplicate negli ultimi 40 anni.
Negli anni Ottanta ne soffriva il 2,9% della popolazione mentre oggi la percentuale è salita al 12,7 (ricerche su dati Istat). Oltre 300 mila sono allergici al latte, 1,1 milioni al lattosio, 3 milioni al glutine, oltre 300 mila sono celiaci. Poi ci sono 5 milioni di allergici al Nichel, metallo contenuto in vari alimenti, e oltre 100 mila che non tollerano gli additivi alimentari. Le intolleranze, tuttavia, non sono malattie vere e proprie ma sono un problema sociale che il mondo della ristorazione fatica a recepire. Perché più spesso si tratta di casi di persone che necessitano di cucine dedicate ancor prima che di piatti in modo da evitare eventuali contaminazioni.
Tanto che nel 2017 a Roma è nato Bollino Blu, un progetto per ristoranti a prova di allergie per corsi ad hoc per chef e ristoratori: ovvero, lezioni per cuochi salutistici, vegetariani, vegani, celiaci, diabetici, perché la percentuale delle persone che sono allergiche o intolleranti a qualcosa oscilla tra il 10 e il 15%.
L’11 ottobre 2018, a Basiano, nei pressi di Milano, è stata invece inaugurata l’Accademia del Mondo delle intolleranze, il cui scopo è proporre corsi di cucina per inventare piatti saporiti e menù sofisticati per cuochi amatoriali e professionisti. Questa scuola di cucina sui generis è di fattoi parte integrante di una realtà più ampia, quella dell’associazione omonima Il Mondo delle Intolleranze, fondata nel 2012.
Gli chef che operano nell’Accademia portano come proprio patrimonio la cottura sottovuoto a bassa temperatura, tecnica utilizzata nei ristoranti stellati e poco conosciuta, con istruzioni dalla scelta dei sacchetti a quella della macchina per il sottovuoto oppure l’alta cucina senza glutine dell’Aic, che rivela invece tutti i segreti dei fornelli “no glutine”.
Non mancano poi le prese di posizione di chef che ritengono che le intolleranze siano invenzioni o vezzi dei clienti “alla moda”; ci sono poi quelli che alle intolleranze non si piegano, indisponibili a soggiacere alle sollecitazioni, rifiutandole decisamente. Come dire: “o così o Pomì” per dirla con la nota rèclame delle passate. Niente compromessi. Gli ingredienti son questi e non si cambiano.
Atteggiamento consono ai principali chef, specie se stellati, che considerano pranzi e cene come esperienze d’eccellenza, viaggi nel gusto che si possono intraprendere solo sulla base sulla base di quegli ingredienti e che non possono comportare variazioni o sostituzioni al tema di base. Infine, ci sono che organizzati a fronteggiare alle richieste con prodotti parte del prontuario delle intolleranze redatto dal ministero della Salute o dalle Asl.
Ma in genere, quest’ultimi, sarebbero “cuochi da trattoria, non chef, marcando netta la distinzione. Anche se Coldiretti assicura che in Italia si spendono ogni anno in prodotti gluten free ben 320 milioni di euro mentre sono saliti al 58% i ristoranti che propongono ricette senza glutine.