G li scatti di Nerina Toci sono fatti di ombra e luce, di immagine e ricordo, di silenzi in cui la giovane siciliana di origine albanese va alla ricerca di se stessa. "La fotografia per me è un racconto che nasce da un ricordo. Io cerco di fotografare l'esistenza e non la vita", spiega in una intervista all'AGI l'artista 29enne, che, reduce da una personale in Cile, per il suo primo volume fotografico ha scelto un titolo che racchiude i primi due anni di mestiere: "L'immagine è l'unico ricordo che ho" (Edizioni Navarra, Palermo). "Fotografare è per me non un lavoro, ma una dimensione", racconta Toci, giunta in Italia dall'Albania quando era ancora una bambina.
Tra le due terre, tra i due approdi, da una parte e dall'altra del Mediterraneo, tra l'est e l'ovest, Nerina preferisce come 'patrià lo scatto, quello che fissa in negativo l'immagine (e dunque il ricordo): "Io non so di appartenere ad un luogo se non dove sono presente in questo momento. Anche il termine 'presentè è un luogo)", spiega, ma senza snobismi nè seriosità. Nerina, la racconta nella prefazione al volume Letizia Battaglia, gigante della fotografia europea e uno dei più straordinari e acuti testimoni visivi della vita e della società italiana, in particolare della Sicilia. L'incontro tra le due, reso semplice da un indumento rosso, è stato prima tra donne, poi tra fotografe: "Contattai Letizia Battaglia telefonicamente - ricorda Nerina - si dimostrò sin da subito disponibile a incontrarmi. Quando andai a casa sua, Letizia mi venne incontro subito dopo Pippo (il 'canuzzò). Appena mi vide abbiamo sorriso, e lei, notando subito il mio cappello rosso in testa, mi disse 'e tu da dove spunti fuori?'. Poi mi invitò a fare una carezza a Pippo altrimenti non avrebbe smesso di abbaiare". "Nerina - rammenta Letizia Battaglia - mi portò a vedere le sue foto l'anno scorso. Arrivò a casa con un improbabile cappellino in testa che la rendeva molto divertente".
Entrambe di carattere ribelle, il rapporto tra maestro e apprendista lascia immediatamente il posto a quello tra mentore e giovane promessa: "Ci siamo sedute una di fronte all'altra - racconta Nerina Toci - e ha iniziato a vedere le mie foto, sulle quali mi ha chiesto di apporre una 'x' in base alle sue preferenze. Accanto alle 'x' ho scritto anche il suo nome. Tra una foto e l'altra mi ha detto quanto fosse importante che i giovani seguissero un'idea precisa un progetto da seguire con determinazione. In alcuni momenti ci sono stati dei piccoli silenzi, sguardi, sguardi inclinati, poi mi sono scese le lacrime. La sua attenzione nei miei confronti mi ha confermato quanto tenesse a cambiare la vita dei giovani e a non far sprecare il talento. Quando ci siamo salutate mi ha detto di inviarle due foto ogni settimana, e così è stato. Dopo un anno e le ho chiesto di rivederci da quel momento non ci siamo più perse di vista". "Subito percepii guardando le sue immagini che stava crescendo un talento che non aveva bisogno di troppi consigli - spiega Battaglia - a allora Nerina va avanti come un treno. Soffre, si incazza, piange e poi compone. La sua scena tiene conto di tutto, del paesaggio, dell'ambiente, di alcuni oggetti, della luce. Ma essenzialmente dei suoi sentimenti".
Due generazioni, quella di Letizia e quella di Nerina. La prima ha raccontato la Sicilia dell'oppressione mafiosa e del riscatto civile, del prezzo che si paga nell'essere mafiosi o antimafiosi, la Sicilia di quei quartieri in cui puoi diventare boss o 'sbirrò o magistrato. Nel bianco e nero, Nerina, invece, gioca se stessa, la sua relazione con la sensualità di certi luoghi, certe spiagge, certe donne, certa Sicilia, una dimensione onirica e interiore dell'isola che parte dalla realtà palpabile di un corpo riflesso su uno specchio, una foto vecchia su un comò, un vestito bianco, un pavimento, un campana da cui nasce un urlo: "All'ultimo minuto, quando la scena è pronta - prosegue Letizia Battaglia - Nerina ci si cala dentro e dinanzi all'otturatore prima dello scatto, lei è già pronta e lieve con il suo corpo, vestito o nudo, ad interpretare un suo sogno. Qualche volta quando ne ha voglia inserisce anche un'altra figura di donna, un contraltare, anzi un alter ego".
Il vero alter ego di Nerina Toci, resta la sua macchina fotografica, e la luce che non può vivere senza l'ombra, come l'immagine senza il ricordo, il bianco e nero, giocati sulla scia di Mario Giacomelli (che per la giovane fotografa è un maestro), e lavorati con una tecnica che li trasforma in discorso poetico: "Il bianco è definizione. Il nero è tutto - dice Nerina Toci - è il male minore, ti permette di camminare ad occhi aperti. È sensualità. Il mio rapporto con la luce e l'ombra è".