E urostat ha diffuso i dati della produzione di gelato nell’Unione: la Germania ha prodotto 494 milioni di litri, pari al 15,5% della produzione totale dell’Ue, La Francia ne ha prodotti 451 milioni (14,1%) mentre l’Italia si è fermata 435 milioni (13,7%). Ciò fa titolare a Il Giornale nell’edizione in edicola che l’Italia “Non è più un Paese per gelatai”.
Un allarme, quando si sa che nella realtà pizze e gelati italiani sono i due prodotti più noti e in voga, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Con il più alto indice di imitatori. “Eppure non sempre il magistero corrisponde a un effettivo primato” chiosa il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, che calcola ad esempio come da anni gli americani “consumano più pizze di noi (secondo Italmopa, l’associazione industriali mugnai d’Italia, 13 chili pro capite l’anno contro i nostri 8 chili), magari con impasti senza gloria e con ingredienti che da noi finiscono generalmente nelle macedonie (e poi, chiamare il salame «pepperoni»...”).
Quanto a primati stiamo retrocedendo. Per esempio nel caffè siamo, secondo le statistiche, al diciottesimo posto per consumo pro capite annuo, con 3,4 chili, ben distanti dalla Finlandia al primo posto (9,6 chili), dalla Norvegia al secondo (7,29 e dai Paesi Bassi terzi (6,7) e dietro anche a Slovenia e Croazia.
E così, dunque, anche nel settore del gelato. Dove, scrive il quotidiano di via Negri, “in due anni, dal 2016 al 2018, siamo scesi dal primo al terzo posto nella classifica della produzione annua di gelato artigianale. Nel 2016 le nostre gelaterie riempivano coni e coppette con 595 milioni di litri di prodotto, mentre la Germania ne produceva 515 milioni e la Francia 454 milioni. Nel 2017 la Germania è passata al primo posto con 517 milioni superandoci di poco con i nostri 511 milioni e staccando la Francia a 466. E nel 2018, secondo i dati diffusi pochi giorni fa e ripresi ieri da Coldiretti, siamo terzi con 435 milioni di litri dietro tedeschi (494) e Francia (451)”.
Alla fine, il sorpasso è avvenuto. Anche se, in verità, più a un calo produttivo italiano che non a un incremento degli altri Paesi sul nostro. ”In soli due anni – si legge nel servizio de Il Giornale – la produzione di nocciola, gianduia e fragola è scesa del 36,8 per cento. E il nostro peso nella produzione complessiva di gelato artigianale tra gli (ancora) 28 Paesi dell’Ue è passato dal 19 al 13,7 per cento”.
Ma il motivo di questo arretramento è in qualche misura nobile e ci dovrebbe riempire di orgoglio. Perché il calo quantitativo “corrisponde ad una crescita qualitativa”, nel senso che il gelato fatto in casa in Italia “non se l’è mai passata così bene” con un gran fiorire di artigiani “attenti alla lavorazione, alle materie prime, alle ricette, alla freschezza” si può leggere ancora.
E con una gran varietà di tendenze e specializzazioni. Ovvero, “esistono gelaterie gourmet, gelaterie agricole, gelaterie che non utilizzano latte o uova, gelaterie vegane”, anche se va precisato che non tutti “sono artigiani puri”: per pochi coraggiosi gelatai che “usano solo ingredienti freschi e preparati in casa”, spesso materie prime locali e con marchi di tutela, “molti ricorrono alle scorciatoie” delle miscele di addensanti ed emulsionanti, delle puree di cioccolato, pistacchio e altro, dei semilavorati se non addirittura composti forniti dalle industrie a cui si limitano ad aggiungere acqua e latte. “Se è questo prodotto che sta perdendo terreno, beh, non abbiamo che da gioirne” chiosa il quotidiano milanese. Perdiamo quote di produzione industriale massificata in favore di un incremento di quote di mercato di qualità alta, di nicchia, cosicché il motivo del sorpasso franco-tedesco – alla fin fine – “paradossalmente provocato dal nostro stesso successo”.
Perché? Perché il gelato viene considerato parte integrante del nostro stesso stile di vita e per questo ampiamente imitato in tutto il mondo. Fuori ma anche dentro gli stessi confini del nostro Paese. Competizione senza frontiere.