L a creatività in cucina oggi è alle stelle. E le stelle, specie se Michelin, premiano la creatività in cucina. Ma come si tutela l’ingegno tra i fornelli? Meglio, come si difende l’originalità di una ricetta, la sua unicità e, dunque, anche la sua irripetibilità? E come si difende la bellezza di piatti che ormai sono sempre più assimilabili a quadri, a opere d’arte, a vere e proprie pennellate d’artista?
È sempre più concreta la tendenza degli chef famosi e non ad affidare le proprie creazioni alla tutela del diritto d’Autore (n. 633/1941) o al copyright. A difendere con i denti e con le unghie l’originalità delle proprie ricette evitando così piratesche imitazioni e repliche, come quelle subite a suo tempo dal Maestro Gualtiero Marchesi con, ad esempio, uno dei suoi piatti più famosi - Riso, oro e zafferano -, che un suo allievo poi distaccatosi dalle cucine del Gran Maestro dei fornelli tentò con scarso successo di replicare, discostandosi un po’ e sostituendo il riso Carnaroli con il Basmati. E oggi questo primo piatto è tutelato dalla Fondazione che porta il suo nome, in base alle leggi del diritto d’Autore.
Così gli studi professionali degli avvocati sono dovuti transitare o trasferirsi dalla sale d’incisione musicale o dalle redazioni delle case editrici, dagli studi di scrittori, poeti, sceneggiatori e dalle sale di produzione cinematografica alle cucine di ristoranti, grandi alberghi e trattorie per estendere la propria consulenza anche in materia gastronomica e verosimilmente allargando di gran lunga lo spettro della propria clientela. Complice il sempre più diffuso interesse che a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta e poi sull’onda degli show televisivi s’è manifestato per il mondo dell’alta cucina, tra innovazione e arte. In questo modo la tutela dei processi alimentari finisce per riguardare di sicuro proprio o anche gli chef più innovativi, creatori di nuove tecniche e sofisticarti abbinamenti. Tutti generi che possono tranquillamente esser brevettati.
Un caso tra tutti? Ad esempio quello della pizza al vapore di Massimiliano Alajmo, ricetta prodotta dopo ben due lustri di ricerche, prove e sperimentazioni e tutelata da un brevetto a partire dall’anno 2017. E se la cottura a vapore non è in assoluto una novità, la peculiarità di questa ricetta è racchiusa tutta nel suo grado di innovazione al punto tale da esser riuscito – Alajmo con i suoi avvocati – spuntarla nel poterla brevettare. E là dove c’è creatività e valore artistico coniugati e congiunti opera la tutela del diritto d’Autore tramite l’articolo 2 e l’ausilio dei commi 4, 5 e 10.
Di primo acchito l’accostamento tra i piatti e le opere d’arte non è per tutti così immediato e pure scontato ma da quando esiste il virtuale Chef Museum – dove i piatti degli chef sono esposti in una carrellata al pari di opere d’arte vere e proprie – la consapevolezza e il valore del contenuto nel suo contesto si accresciuta vieppiù.
E in materia c’è anche una recente giurisprudenza: una sentenza del Tribunale di Milano (n. 9763 del 10.07.2013) e un’altra della Corte di Cassazione (n. 18220/19) che ha letteralmente cambiato l’approccio del diritto d’Autore tra pentole e fuochi riconoscendo al creatore d’opera il suo sforzo creativo. Tuttavia c’è anche chi non si scompone, come lo chef pluristellato Enrico Bartolini (8 stelle Michelin, di cui 3 al ristorante del Mudec di Milano) che recentemente si è così espresso: “Sino ad oggi non mi sono attivato in alcun modo per tutelare i piatti, ho provato a farlo sul nome e sul brand, ma con esiti negativi. Quindi ho pensato che se un piatto o una ricetta in cui noi, come team, ci sentiamo riconoscibili viene copiato, è più un problema di chi copia che così facendo arricchisce la nostra comunicazione e il nostro marketing”.
Potenza, sicurezza e consapevolezza della forza del proprio essere creativo. Erga omnes.