Nei mesi scorsi i governi hanno più volte fatto appello a Facebook e Google, ovvero i canali attraverso i quali la stragrande maggioranza degli utenti accede alle notizie (e alle bufale), perché si facessero carico della lotta alle fake news. Una responsabilità che le due aziende non vollero accollarsi: se proprio qualcuno doveva stabilire cosa è vero o cosa è falso, se ne occupassero i governi, argomentarono. Ma si trattava quest’ultima, per ovvie ragioni, di una strada politicamente non percorribile per le democrazie.
Facebook lanciò comunque alcuni esperimenti, come la possibilità di segnalare i post di bufale, rivelatisi inefficaci e parziali. Ma Mark Zuckerberg non tardò a comprendere la soluzione giusta: consentire al giornalismo professionale di sopravvivere e fare il proprio lavoro. Una presa di coscienza espressa in un post dello scorso 23 agosto destinato a fare la storia.
“"Non possiamo creare una comunità informata senza giornalisti”, scrisse Zuckerberg, “se sempre più persone leggono le notizie in luoghi come Facebook, noi abbiamo la responsabilità di contribuire a fare in modo che tutti abbiano una comprensione adeguata delle cose. Ma sappiamo anche che le nuove tecnologie possono rendere più difficile per gli editori finanziare il lavoro dei giornalisti, sui cui tutti noi contiamo. Per questo qualche tempo fa abbiamo lanciato Facebook Journalism Project. Il nostro obiettivo è lavorare più vicino alle redazioni, ma stiamo anche lavorando con ricercatori e università per aiutare le persone ad essere più informate e consapevoli delle notizie che leggiamo online".
La questione va dunque affrontata su due fronti. Da una parte occorre sostenere un’industria finanziariamente allo stremo che fornisce però a Menlo Park e Mountain View i contenuti di qualità. Il Facebook Journalism Project sarà lanciato entro fine anno e stimolerà gli iscritti a sottoscrivere abbonamenti alle testate che seguono (mentre è ancora in corso la trattativa tra Google e gli editori su nuove forme di sottoscrizione che garantiscano più entrate ai media). Ma come aiutare gli utenti a essere più “consapevoli”? Come educarli a comprendere se quello che leggono e affidabile o meno? E’ qua che entra in gioco The Trust Project.
The Trust Project è un consorzio di 75 testate giornalistiche americane ed europee che hanno elaborato otto “Indicatori di fiducia” in grado di consentire la valutazione della loro affidabilità. Il progetto è nato in ambito accademico ed è guidato dalla giornalista Sally Lehrman, a capo del programma di Etica del giornalismo al Markkula Center For Applied Ethics della Santa Clara University. Ed è coinvolto il meglio della stampa mondiale. Per citare solo alcuni nomi: il New York Times, The Economist, il Wall Street Journal, il Washington Post, la BBC, l’Associated Press, l’agenzia di stampa tedesca Dpa, e – per l’Italia – La Repubblica e La Stampa. Facebook, Google, Bing e Twitter – in qualità di partner esterni – si sono impegnati a mostrare un “Trust Mark” accanto alle testate i cui articoli vengono condivisi sulle piattaforme. Uno sforzo di trasparenza grazie al quale l’utente avrà tutti gli strumenti necessari per potersi fare, in autonomia, un’idea della credibilità di quello che legge.
Questi gli indicatori:
- Best practice. Quali sono i tuoi standard? Chi finanzia la testata. Qual è la sua mission. Gli impegni etici, il livello di pluralismo, l’accuratezza, la politica in fatto di correzioni et cetera.
- Competenze dell’autore. Chi ha scritto questo pezzo? Dettagli sull’autore dell’articolo e link ad altri suoi pezzi.
- Genere di articolo. Di cosa si tratta? Etichette che aiutino a distinguere tra articoli di opinione, analisi e contenuti promozionali o sponsorizzati.
- Citazioni e riferimenti. Un maggiore accesso alle fonti delle inchieste e degli approfondimenti.
- Metodi di lavoro. Perché i giornalisti hanno scelto di occuparsi di questo tema? Come sono state raccolte le informazioni?
- Le fonti sono locali? I giornalisti hanno avuto un accesso diretto?
- La testata dà spazio a voci di diverso orientamento? Ho di fronte una testata pluralista o schierata?
- Quale contributo possono dare i lettori? Gli utenti possono aiutare a stabilire le priorità e contribuire alla raccolta delle informazioni e alle correzioni?
Facebook ha appena avviato i testi con Vox e AP, che verranno seguite dalle altre testate nei prossimi giorni. Vicino agli articoli del News Feed, apparirà un’icona. Cliccandovi sopra, si potranno leggere le informazioni che i media hanno condiviso in merito al loro rispetto degli otto indicatori. Seguiranno nei prossimi mesi i testi di Bing, Twitter e Google, che mostrerà il “Trust Mark” in tutti i suoi canali che consentono di accedere alle notizie, da Google Search a Google News. Coinvolta anche la piattaforma di blogging WordPress, che elaborerà un plugin specifico per i media ritenuti affidabili.
“Precisione, credibilità, trasparenza: il cuore di una notizia e base del rapporto di fiducia con il lettore, essenziale oggi più che mai in tempi di scetticismo dilagante, fake news che dominano il dibattito pubblico e un'offerta vastissima e spesso ridondante, in cui orientarsi alla ricerca di contenuti di qualità è sempre più complicato”, spiega Repubblica, che partirà il 22 novembre in coincidenza con la sua nuova edizione, “Ci vorrebbe una bussola. Ed è quella che Repubblica vuole fornire, rendendo espliciti i propri standard professionali in nome di un'informazione tracciabile, che risponda a precisi principi etici a garanzia dei propri contenuti”.
“Non ci sono notizie vere e notizie false, perché quelle false non sono notizie. Non ci sono giornali che pubblicano notizie false (chi lo fa non pubblica un giornale), ci sono giornali che sbagliano. E poi ci sono giornali trasparenti e giornali che non lo sono: i primi, se sbagliano, non hanno difficoltà ad ammetterlo, a spiegare al pubblico perché, a correggere gli errori”, sottolinea il quotidiano torinese, “il giornalismo digitale non ha cambiato queste regole - che sono quelle del nostro mestiere da sempre -, però ha allargato a dismisura il mare magnum di quanto viene pubblicato. Mescolando testate giornalistiche e satira, notizie e pubblicità, cultura e gioco. La scelta la fa da sempre il pubblico: questione di fiducia. Satira, pubblicità e gioco non sono contenuti meno nobili di quelli prodotti dall’informazione, sono semplicemente diversi. Il problema è evitare che qualcuno spacci una cosa per l’altra”.