Quando si scatenò la polemica sui 23 milioni di euro spesi per le 'voting machine' da utilizzare per il referendum sull'autonomia della Lombardia, il governatore Roberto Maroni pensò di spegnerle con un annuncio: finite le votazioni sarebbero andati alle scuole.
Nobile proposito, finalmente realizzato: quattro mesi dopo il referendum i primi 1.500 tablet sono stati consegnati alle scuole della regione. Ma già qui bisogna fare una precisazione, perché secondo una inchiesta pubblicata sull'edizione cartacea del Messaggero, non si tratta proprio di un maneggevole device, ma di un 'mamozzo' da due chili che non funziona esattamente né come un iPad nè come uno dei suoi fratelli che montano il sistema operativo Android.
Innanzitutto perché non supportano quasi nessuno dei software a disposizione delle scuole, che prevalentemente utilizzano Windows di Microsoft. E poi perchè la risposta 'touch' non è fluida come quella di un tablet.
Del resto la società che ne ha forniti 24.400 alla Regione Lombardia lo aveva messo nero su bianco: non sono tablet, ma 'identity management device' del tipo, per fare un esempio, utilizzato in banca per fare firmare i moduli digitali. E il sistema operativo montato - Ubunto di Linux - non è esattamente l'ideale per le app più diffuse. Inoltre si tratta di una macchina ingombrante, che ha bisogno di un collegamento costante alla rete elettrica e monta un provcessore che quatrro anni fa era all'avanguardia, ma che oggi è già obsoleto.
Uno sforzo inutile, quindi? Nemmeno per idea: nelle scuole italiane (e quelle lombarde non fano eccezione) la fame di tecnologia è tale che non si butta niente. Così i dirigenti degli Istituti citati dal Messaggero si stanno già inventando delle soluzioni per non lasciare le ingombranti - ma solide - macchine a prendere polvere. C'è chi sta già pensando di utilizzarle come registri elettronici, chi per i test Invalsi e chi per le comunicazioni tra bidelli.
"Diciamo che avremmo speso i soldi in modo diverso, ma ormai ci sono" è il laconico commento di Luca Montecchi, rettore del Don Gnocchi di Carate Brianza. E in classe, si sa, bisogna ottimizzare le risorse. Ma alla Corte dei Conti non la vedono allo stesso modo e più prosaicamente hanno avviato una indagine.