Black Mirror è una serie televisiva britannica in cui ogni episodio ha trama e personaggi a sé stanti. Il fil rouge che lega le diverse stagioni e gli episodi è il progredire delle nuove tecnologie in scenari a metà tra un presente distopico e un futuro in cui quelle stesse tecnologie hanno preso il sopravvento. Distribuito da Channel 4 prima e da Netflix poi, Black Mirror ha letteralmente fatto breccia nel cuore e nell’immaginario dei telespettatori. Perfino Stephen King, nel 2014, aveva concesso la sua benedizione via Twitter: “Mi è piaciuto Black Mirror. Terrificante, divertente, intelligente. È come Ai confini della realtà, solo vietato ai minori.”.
Loved BLACK MIRROR. Terrifying, funny, intelligent. It's like THE TWILIGHT ZONE, only rated R.
— Stephen King (@StephenKing) December 7, 2014
Nel 1970, Masahiro Mori, studioso nipponico di robotica, pubblicò sulla rivista Energy un saggio intitolato “The uncanny valley” (La valle perturbante). Questo approfondiva il rapporto tra la nostra psiche e l’estetica della tecnologia e teorizzava che, di fatto, siamo felici quando un robot ci assomiglia. Ci allarmiamo tuttavia (o “perturbiamo”, appunto) se questo ci somiglia troppo. Non riuscire a capire se qualcosa sia vivo o meno, dato un eccessivo realismo, secondo il grafico di Mori, può risultare estremamente respingente per gli umani. Black Mirror gioca esattamente al limite della valle perturbante (che deve il proprio nome al crollo che ha la curva del gradimento sull’ascissa della familiarità, man mano che il robot ci somiglia troppo). Prende elementi della nostra quotidianità tecnologica e li altera un po’, ne accentua determinate caratteristiche, ne enfatizza i rischi e, infine, (qui risiede il segreto) ne mette in dubbio il controllo.
Doxa rivela il rapporto tra italiani e Smart Home
Dall’ultimo report di Doxa, una delle principali aziende italiana di ricerche di mercato, realizzata nel novembre del 2017 su un campione di 6000 interviste, emerge che gli italiani hanno una scarsissima idea di cosa sia la “casa intelligente”. Il 45% degli intervistati addirittura non ne ha mai sentito parlare. Più di due terzi di quelli che invece affermano di conoscerne le caratteristiche hanno comprato e usano almeno una tecnologia per migliorare la gestione della casa. O meglio hanno deciso di investire su prodotti che aumentano il grado di sicurezza della propria abitazione.
C’è poi un problema di fiducia verso la casa smart: se il 32% ha dichiarato di non nutrire alcuna preoccupazione particolare, il 30% ha espresso apprensione per la protezione della privacy e il 24% si è detto in difficoltà con l’utilizzo e la gestione di oggetti smart. Il 14%, infine, teme l’eccessiva autonomia degli oggetti smart connessi.Se da un lato quindi la casa deve essere espressione del carattere e dei gusti di chi la abita, gli italiani mostrano ancora una certa diffidenza verso questo tipo di cambiamenti e innovazioni. Laddove noi stessi siamo iperconnessi e innegabilmente sempre più smart, ancora non accettiamo appieno l’idea di un IoT (Internet of Things) che varchi le soglie della nostra intimità. Insomma, ci fa ridere il Roomba che parla, ma scivoliamo nel panico se due bot, messi in comunicazione, cominciano a dialogare in una lingua dalla quale noi siamo esclusi. Forse l’emancipazione smart della nostra casa è ancora di là da venire, ma almeno possiamo cominciare a informarci su ciò che smart realmente significa, su quali siano i pro e i contro di una casa intelligente e connessa, per poi valutare quali possano essere i servizi che facciano al caso nostro, che ci metteno nelle condizioni di risparmiare o di rendere smart, oltre la nostra abitazione, magari anche la bolletta.