Un giorno ricorderemo questo periodo della storia di internet, fra le altre cose, anche come il tempo della “rivolta degli ingegneri”. Un tempo in cui, nel giro di pochi mesi, hanno iniziato ad accumularsi sempre più frequenti manifestazioni di protesta e dissenso da parte dei dipendenti di grandi aziende tech su temi etici.
Che si tratti di intelligenza artificiale o cloud computing, il discrimine sembra essere quello dei diritti umani. E del modo in cui anche e soprattutto tecnologie d’avanguardia possano contribuire a violarli, e quel che è peggio, in modo sempre più efficiente. A volte, in modo sottile e quindi ancor più insidioso. Google, Microsoft, Amazon, Salesforce sono tutti giganti che si sono improvvisamente confrontati con una base inquieta e più consapevole. Che contesta sempre più spesso alcuni contratti con agenzie governative o militari.
Salesforce e la polizia di frontiera
L’ultima protesta, ed è notizia di ieri, arriva dalle file di Salesforce. Più di 650 dipendenti del gigante specializzato in servizi cloud per aziende hanno firmato una petizione in cui chiedono al loro datore di lavoro di terminare un contratto con la US Customs and Border Protection (CBP), l’agenzia federale preposta alle dogane e ai controlli alle frontiere, a causa della politica di separazioni forzate dei bambini dalle famiglie di migranti irregolari fermati al confine tra Messico e Stati Uniti. Una vicenda che ha avuto una risonanza mediatica molto forte, anche grazie alla diffusione di immagini, audio e dettagli drammatici.
Lo scorso marzo Salesforce aveva firmato un contratto con l’agenzia americana per fornire un software da usare nelle attività di reclutamento del personale ma anche nella gestione delle operazioni al confine. Ora, alla luce di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, i dipendenti di Salesforce sono usciti allo scoperto.
“Data la separazione inumana dei bambini dai loro genitori che sta avvenendo alla frontiera, riteniamo che il nostro valore fondamentale di Uguaglianza sia a rischio e che Salesforce debba riesaminare la nostra relazione contrattuale con CBP e prendere posizione contro queste pratiche”, spiega la lettera, riportata per prima da Buzzfeed.
Microsoft, Google e Amazon
La protesta dei dipendenti di Salesforce arriva dopo quella dei lavoratori di Microsoft, che giorni fa avevano chiesto di cancellare un contratto della multinazionale con un’altra agenzia statunitense che si occupa di immigrazione e controlli alla dogana, l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) per gli stessi motivi. Più di cento dipendenti avevano chiesto di chiudere il contratto con ICE cui Microsoft fornisce servizi cloud per il trattamento e l’elaborazione dei dati dell’agenzia. “Riteniamo che Microsoft debba prendere una posizione etica, e mettere i bambini e le famiglie al di sopra dei profitti”, scrivevano i dipendenti. “Siamo parte di un movimento crescente, che include molti nella nostra industria che riconoscono la grave responsabilità chi chi crea tecnologie potenti per fare in modo che siano realizzate per il bene e non per fare del male”.
In effetti, sembrerebbe esserci davvero un movimento sparso fra grosse aziende tech, almeno a giudicare dalla diffusione delle proteste. Avevamo già raccontato come Google, a giugno, abbia rinunciato a rinnovare un progetto di intelligenza artificiale con il Pentagono, noto come Progetto Maven, per l’analisi del materiale video raccolto dai droni militari, in seguito alla rivolta di una parte dei dipendenti e all’eco della vicenda. Ma pochi giorni fa è emerso che non si sarebbe trattato dell’unico caso all’interno del colosso di Mountain View, un tempo noto per il motto “non fare del male”; ma anzi, ci sarebbe stato un importante precedente. All’inizio dell’anno infatti un gruppo di ingegneri di punta della multinazionale - secondo la ricostruzione di Bloomberg - si sarebbe ribellato di fronte a un progetto che prevedeva di fornire una soluzione tecnologica innovativa in ambito militare. La fronda di questi ingegneri, nota come il Gruppo dei Nove, avrebbe fatto da catalizzatore anche per il successivo movimento di protesta per il Progetto Maven.
Sempre in questi giorni Amazon ha avuto invece resistenze da una parte dei suoi stessi azionisti che le hanno chiesto di non vendere la sua tecnologia di riconoscimento facciale, Rekognition, alla polizia. Ma la protesta nasce anche dai suoi stessi dipendenti: oltre cento, tra cui alcuni ingegneri in posizioni senior, avrebbero firmato una lettera al Ceo Jeff Bezos chiedendo la stessa cosa, oltre che di smettere di fornire servizi ad aziende che collaborano con la già citata ICE. Tra queste la nota società di data mining Palantir. “Ci rifiutiamo di contribuire a strumenti che violano i diritti umani”, scrivevano i dipendenti.
Sarà interessante vedere se tutto questo fermento si tratti di un fenomeno temporaneo, legato anche al particolare clima politico americano (con l’aggressiva amministrazione Trump) o se sia invece il segno di una consapevolezza più profonda del ruolo assunto da ricercatori, ingegneri e scienziati dei dati nella nostra società, e delle tecnologie da loro sviluppate.