Il valore del fallimento è un mantra della Silicon Valley. Ma la storia di James Siminoff va oltre la retorica da startup. Il 15 novembre del 2013 si presenta davanti alle telecamere di Shark Tank, una sorta di X Factor dell'innovazione (già visto anche in un'edizione italiana): ogni imprenditore ha pochi minuti per illustrare la propria idea ad alcuni potenziali investitori. Siminoff svela Doorbot, un citofono connesso allo smartphone che permette di sorvegliare casa propria e, se serve, di aprire la porta a distanza. La richiesta è di 700.000 dollari per il 10% della sua società (fondata l'anno prima), per una valutazione di 7 milioni di dollari. Troppo per tutti e cinque gli investitori. A poco più di quattro anni di distanza, Doorbot, diventata Ring, è stata acquisita da Amazon per un miliardo.
Dal no ai round milionari
In quei pochi minuti di televisione, quattro investitori avevano detto no: Mark Cuban, Daymond John, Robert Herjavec e Lori Griener (a loro parziale giustificazione c'è da dire che il format non prevede un'analisi preventiva della startup ma obbliga a una scelta immediata). Il venture capitalist Kevin O'Leary è l'unico che ci prova, anche se con una contro-offerta: 700.000 dollari in parte in azioni e in parte come prestito in cambio del 7% delle vendite future. Siminoff crede a tal punto nel suo progetto che rifiuta. Anche se, qualche anno dopo, dirà di essere uscito dagli studi televisivi quasi in lacrime perché Doorbot aveva bisogno vitale di fondi. Di lì a poco, però, sarebbero arrivati.
Che gli “squali” avessero preso un abbaglio è diventato chiaro già molto prima che Jeff Bezos mettesse occhi e portafogli sulla startup. Un mese dopo essere passato da Shark Tank, Doorbot ha ricevuto un investimento da un milione di dollari da un big come First Round Capital. Seguiranno altri round, via via più pesanti. Fino a un totale di 209 milioni di dollari (metà dei quali incassati in un solo colpo, nel gennaio 2017). Cifre ben spese, vista la somma sborsata da Amazon.
Perché Amazon ha speso un miliardo
Ma perché Bezos ha deciso di puntare così tanto su Ring? Le ragioni sono diverse. Prima di tutto c'è un crescente interesse del gruppo nell'hardware. Amazon, con Echo e Alexa, ha al momento una posizione di leadership assoluta nel mercato degli smart speaker (i “maggiordomi digitali”). Allargare la gamma di dispositivi connessi diventa quindi un punto di forza. Anche perché la concorrenza incalza. Apple può contare sul suo ecosistema per far funzionare il suo “assistente” HomePod. Alphabet, oltre al suo maggiordomo Google Home, ha i pancia Nest (un marchio che produce, tra le altre cose, Hello, un videocitofono molto simile a Ring).
Per questo motivo Amazon ha accelerato, già alla fine del 2017, con l'acquisizione di Blink, una startup specializzata in telecamere di sicurezza connesse. Anche Ring produce dispositivi per proteggere la propria casa. E con il suo citofono connesso si sposa con l'e-commerce, perché permette consegne più agevoli. Non è un mistero che Bezos ambisca a soluzioni di questo tipo: da ottobre sta sperimentando negli Stati Uniti Amazon Key, un servizio con il quale i corrieri (grazie a un'app e a una serratura intelligente) possono lasciare i pacchi direttamente in casa, anche quando il destinatario non c'è.