Gli emoji hanno appena compiuto 18 anni e già sono diventati delle opere d’arte. Da qualche mese, la prima serie è in mostra al Moma di New York e farà parte della collezione permanente del museo. E così - si legge sulla Cnn - i simboli che aiutano ad esprimere le emozioni nella comunicazione digitale possono essere ammirati vicino ad un Picasso o un Pollock. A guardare i numeri lo strumento non è indifferente al popolo di internet: ogni giorno 6 miliardi di emoji circolano sul web e ad usarli è il 90% degli internauti.
I primi simboli alla fine degli Anni '90
Alla fine degli anni '90 il progettista Shigetaka Kurita, che a quel tempo lavorava per NTT DoCoMo, uno dei maggiori operatori telefonici giapponesi, si occupava di sviluppare la piattaforma web per il mobile. Visti però i limiti della visualizzazione sui primi schermi degli smartphone giapponesi, Kurita aveva deciso di sviluppare alcuni pittogrammi per rendere più efficace la comunicazione. Il nome emoji deriva da una parola giapponese che letteralmente significa ‘carattere dell’immagine’. Ecco come i primi 172 simboli sono entrati nel mondo del web.Perché le emoji non possono diventare una lingua
Le lingue sono dei sistemi complessi che per essere considerate tali hanno bisogno di regole e parole. Ciò che le differenzia da tutte le altre forme di comunicazione è proprio la possibilità di esprimere con esse idee complesse. Ecco perché gli emoji non possono diventare una vera e propria lingua:
- Il vocabolario è molto ristretto, anche se ogni anno vengono introdotti nuovi simboli, attualmente ne esistono circa 2000.
- Le forme pittografiche, a differenze di una qualsiasi lingua, non danno la possibilità di esprimere concetti astratti. I simboli si prestano per parole come ‘melanzana’, ‘pizza’, o per mandare un sorriso, un bacio, un saluto, ma è molto difficile parlare ad esempio di ‘femminismo’.
- Manca una struttura grammaticale che in una lingua viene usata continuamente e permette di creare frasi articolate.
Il designer Ken Hale, appassionato di emoji, ha cercato di rappresentare dei personaggi attraverso i simboli come ad esempio Alice nel paese delle meraviglie. Hale chiama il suo sistema ‘crypto-semantico’. Ma fin quando non si sviluppa un processo di apprendimento per capire cosa ogni simbolo rappresenti e come si combina con gli altri, il linguaggio di Hale è destinato a rimanere una lingua sconosciuta.