Dopo il panico iniziale, quasi nessuno crede più davvero all’Armageddon in casa Huawei. La proroga di 90 giorni concessa a Google e agli altri brand statunitensi per cessare la collaborazione con il marchio cinese è il segno, insieme ad altri segnali di allentamento della tensione, che tutto dovrebbe risolversi durante l’estate. Ma se non dovesse succedere e la guerra dei dazi facesse di Huawei la prima vittima eccellente, chi si prenderebbe quella sostanziosa fetta di mercato degli smartphone lasciata libera?
Va detto che già nelle ore immediatamente dopo lo scoppio della crisi si era capito che il bando di Google era per la casa cinese soprattutto un danno di immagine e a dimostrazione della confusione che regna dalle parti di Huawei ci sono i dubbi che circondano la messa sul mercato dell’Honor 20Pro, lo smartphone del brand spin-off che – si dice – potrebbe non arrivare mai in Italia per un problema di certificazione proprio del sistema operativo Android legato al bando.
Ma torniamo al punto di partenza: chi potrebbe occupare le sterminate praterie lasciate libere da Huawei? Sorpresa: i cinesi. Il che, ovviamente, riporterebbe la questione alla sua origine, perché quanto ci metterebbe la Casa Bianca a farsi saltare sul naso marchi come OnePlus, Xiaomi e Oppo?
Già, Oppo, che proprio in questi giorni festeggia un anno dal ritorno sul mercato europeo, dopo una serie di puntate estemporanee – quasi dei test di mercato – che l’avevano portata all’attenzione degli osservatori più interessati.
Ma da dove viene Oppo? La sua storia incrocia quella di due personaggi tra i più interessanti del panorama tecnologico cinese: Carl Pei e Pete Lau che ora sono alla guida di OnePlus (la società che ama definirsi la Apple asiatica). Le cronache indicano il primo come ex general manager della divisione Blue Ray di Oppo e il secondo come vicepresidente nel 2014, ma appare improbabile che un anno dopo aver fondato OnePlus Lau fosse il numero due di una azienda concorrente. Improbabile se non si va a sbirciare gli assetti societari del passato e si scopre il filo sottile – nient’affatto nascosto – che lega Oppo, OnePlus e Vivo e che si chiama Bkk.
Oppo, registrata nel 2001 come marchio globale, nel 2004 è stata poi fondata come azienda in Cina, è controllata da BBK Electronics, una società creata nel 1995 da Duan Yongping e con sede a Dongguan. Che a sua volta controlla il produttore di telefoni Vivo (molto attivo in Cina, Russia e India) e fino a qualche tempo fa OnePlus. In particolare, scrive il Sole 24 Ore, Oppo, Vivo e OnePlus commercializzano smartphone mentre attraverso Oppo Digital vengono commercializzati lettori di Blu-Ray, cuffie e amplificatori audio. Facendo la somma Bkk ha venduto nel 2017 quasi 200 milioni di dispositivi, meglio di loro hanno fatto solo Apple e Samsung. Dietro a Oppo, anzi dentro a Oppo, abbiamo quindi una multinazionale del telefonino asiatica con numeri da capogiro, anche se a oggi Oppo è indipendente.
Anche se non è nata in un garage, Oppo ha la sua storia da raccontare, legata alla battaglia per affrancarsi dallo stigma di produttori di copie, più o meno scadenti, degli smartphone più blasonati, che i chinafonini degli esordi si portavano dietro.
La leggenda narra che nel settembre del 2009 il Ceo, Chen ‘Tony’ Mingyong, ricevette nel proprio ufficio un partner straniero. Confrontandosi su quella che era la differenza tra i brand stranieri e quelli cinesi nel campo dei lettori dvd, Tony disse che i suoi erano conosciuti in tutto il mondo come ottimi prodotti, prova che anche i marchi cinesi possono essere di qualità. Il partner commerciale, però, replicò pronto: “Sì, i brand cinesi possono anche essere di buona qualità, ma stai ancora usando un telefono straniero”.
Chen decise di andare a comprare uno smartphone prodotto in Cina: arrivò a Huaqiang North, il distretto tecnologico più sviluppato di Shenzhen, e dopo aver camminato per più di sette ore ed esaminato più di cento dispositivi non trovò nemmeno un prodotto che avesse un buon design e fosse facile da usare. E capì che, anche se sembrava saturo, il mercato degli smartphone aveva ancora molto potenziale e che c’erano moltissime persone che avevano esigenze come le sue. Fu questo, si racconta, a portare Oppo nel mercato della telefonia con l’obiettivo di creare smartphone con un design ricercato e una user experience facile per tutti. Nel maggio 2008 venne lanciato il primo A103 Smiley che vendette circa un milione di pezzi.
Negli anni (pochi) Oppo ha progettato e lanciato sul mercato device di qualità - sia sul versante estetico, sia sul versante dei materiali utilizzati - a prezzi più bassi rispetto ai concorrenti più rinomati. Negli ultimi 10 anni, si è concentrata sulla produzione di telefoni con un forte focus sulla fotocamera, innovando in maniera rivoluzionaria il mondo della fotografia mobile. Ha dato vita all’epoca del selfie e della beautification ed è stato il primo brand a lanciare telefoni con 5 MP e 16 MP sulla fotocamera frontale. E’ stato anche il primo a introdurre la fotocamera motorizzata a rotazione, l’Ultra HD e la tecnologia 5X Dual Camera Zoom. La serie F – Oppo Selfie Expert – lanciata nel 2016 ha guidato il trend del selfie nell’industria degli smartphone.
Il ritorno di Oppo in Europa, si diceva, risale a un anno fa, con il lancio di R15 Pro, uno smartphone di fascia medio-alta che è letteralmente nato per i selfie. Il prezzo non era proprio da entry level (650 euro) ma milioni di schemi di abbellimento sulla base di informazioni relative a sesso, età, colore e texture della pelle (oltre alla capacità di identificare simultaneamente le caratteristiche di un massimo di 4 soggetti nella stessa immagine per abbellimenti individuali su misura) ne facevano il device ideale per incontenibili vanesi, influencer e aspiranti tali. La vera svolta, però, è arrivata a fine aprile del 2019, con il lancio di Reno, un top di gamma costruito per competere con device come OnePlus 7 o Samsung S10 seppure a un prezzo più contenuto.
A oggi Oppo ha tre diverse serie di prodotti: la Find che ha nel Find X il suo top di gamma, e la Serie R che invece ha nel suo miglior prodotto l’RX17 Pro - ora sostituita dalla serie Reno -, e la serie Oppo AX che eredita le caratteristiche chiave delle serie principali ma a un prezzo più accessibile.
Quanta strada ha fatto Oppo
- 2008 - Oppo A103, il primo telefono-smiley face;
- 2011 – con la serie Find, entra nel mercato degli smartphone. Con le serie N, R e F, si sviluppa anche all’estero;
- 2013 – lancio del N1, il primo smartphone con fotocamera rotante
- 2014 - Il primo prodotto con 4G, Find 7 con la spia di notifica che traccia una linea luminosa su uno schermo completamente nero, tecnologia ripresa 5 anni dopo da OnePlus nel modello 7
- 2016 – lancio del flagship R9s, per la prima volta con un design colorato
- 2018 – si arriva in Europa con il lancio di Find X anche in edizione Automobili Lamborghini e di Oppo R15 e Oppo RX17 Pro
- 2019 – lancio della serie Reno e primo telefono 5G commercializzato in Europa
Oggi Oppo si colloca nel mercato globale come il quinto produttore in assoluto (nel 2018, è stato inserito al quinto posto nella classifica dei brand mondiali, secondo l’IDC), mentre nel mercato cinese è il secondo. Ovviamente quest’ultimo è il mercato principale, quello nel quale si punta maggiormente, ma per quanto riguarda l’Europa c’è grande attenzione all’Italia, alla Spagna, alla Francia, all’Olanda e presto anche al Regno Unito. La strategia, come per OnePlus, si basa sulla creazione di una brand awareness, un ampliamento della rete distributiva che a oggi conta Mediaworld e Unieuro come principali canali di rivendita.
E il 5G? In aprile Oppo e Swisscom hanno annunciato i loro programmi per portare sul mercato in Svizzera, insieme con i network 5G, il Reno 5G, progettato con una struttura proprietaria retrattile, che consente di avere un rapporto schermo-corpo del 93,1%, uno zoom 10x Hybrid con camera tripla di Reno, sistema operativo ColorOS 6 e chipset Qualcomm Snapdragon 855, batteria da 4065 mAh e VOOC Flash Charge 3.0.
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Il 22 maggio, Henry Tang, a capo del progetto 5G di Oppo, ha parlato a Shanghai del futuro oltre la nuova tecnologia descrivendolo come una evoluzione dell'intelligenza connessa - dal 5G al B5G al 6G. Un sistema "per l'intelligenza artificiale, dall'intelligenza artificiale e dell'intelligenza artificiale" e una trasformazione che cambierà radicalmente il modo di vivere e di lavorare.
In futuro, Tang immagina un mondo condiviso da persone ed agenti intelligenti, con B5G e 6G come fattori chiave per l'interconnettività "Human-Thing-Intelligence".
Ma questa è un’altra storia.