AGI - Il suo è un no secco all’algofobia, la paura degli algoritmi che governano l’Intelligenza artificiale e potrebbero dominare anche gli uomini. “Il progresso è inarrestabile - dice il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Vincenzo Paglia - ma evitiamo di immaginare la cupa Intelligenza artificiale del mondo fantasy”. Ottant’anni ad aprile prossimo (da settembre in libreria con il suo “L’algoritmo della vita”), l’arcivescovo non pensa a un futuro in cui le macchine comandano e gli uomini ubbidiscono, teme di più questi ultimi che i computer. E distingue ruoli e responsabilità: “L’Ia non decide tutto da sola, è l’uomo a istruirla”.
Eccellenza, pensa che l’Intelligenza artificiale potrebbe arrivare a conoscere la differenza tra bene e male, ad avere una morale, ad apprendere il sentimento di misericordia?
“No. Siamo noi a immettere i dati, sono dei programmatori umani a costruire gli algoritmi e quindi il vero tema riguarda la programmazione per evitare di inserire criteri non oggettivi e basati piuttosto su quelli che si chiamano bias, pregiudizi, precomprensioni, visioni culturalmente schierate. A mio avviso siamo solo all’inizio di una trasformazione che deve venire accompagnata da un dibattito sul senso etico e sociale delle possibilità che la tecnologia offre”.
Contro l’evasione fiscale l’uso dell’Ia è già previsto dalla legge, in ambito giudiziario è impiegata da tempo. Avremo mai una macchina più obiettiva del giudice?
“Incrociare i dati è un grande strumento di controllo e di prevenzione, in tutti i campi, ad esempio per la sanità. Ma solo negli scenari più cupi del mondo fantasy, le macchine si sostituiscono agli esseri umani. Ed è una deriva che va lasciata al fantasy”.
Durante l’isolamento causato dall’emergenza Covid ci sono state persone che per non sentirsi sole in casa hanno parlato con l’assistente virtuale del telefonino. Secondo lei, offrire il conforto a portata di mano di un confessore virtuale è una realtà possibile?
“Certamente no. La religione cristiana è basata sull’incontro vivo tra le persone. Il Vangelo è la storia degli incontri di Gesù con le donne e con gli uomini del suo tempo. E le vicende degli Apostoli, via via fino ad oggi, sono storie di vita vissuta, testimonianza, un farsi nella Storia secondo una dimensione comunitaria e di relazione. Poi certo, tutto serve per fornire consolazione. In tanti hanno animali domestici proprio per questo. Ma qui siamo in un altro settore. Il contatto interpersonale è ineliminabile. Non c’è religiosità senza”.
Da decenni lo scienziato informatico Raymond Kurzweil (e non solo) studia la possibilità di lasciare il corpo malato e trasferire l’anima in un androide. Immorale?
“Nel 2019, la Pontificia Accademia per la Vita ha dedicato alla ‘roboetica’ il suo convegno annuale di studio. Ed abbiamo avuto la partecipazione dell’ingegnere giapponese Hiroshi Ishiguro, che sostiene tesi transumaniste. Anche qui siamo negli scenari di un futuro che forse non si realizzerà mai. E tuttavia oggi e sempre dobbiamo intensificare la riflessione etica. Abbiamo straordinarie possibilità scientifiche e tecnologiche. Ma non sono tutte lecite o percorribili. E serve anche un coinvolgimento della società civile perché ogni donna e uomo del nostro tempo è parte di una collettività e nessuno può sentirsi escluso dai benefici della ricerca. E tantomeno esserne vittima”.
Il filosofo Gunter Anders diceva che la tecnologia è come un carrello sul quale si può salire ma che non si può fermare. Ci siamo già sopra?
“Certamente il progresso non è arrestabile, lo dice la stessa parola ‘progresso’. Ma dobbiamo guidarlo, accompagnarlo, indirizzarlo. Basta rileggere un passaggio del discorso di Papa Francesco al G7. Diceva, in proposito, ’di fronte ai prodigi delle macchine, che sembrano saper scegliere in maniera indipendente, dobbiamo aver ben chiaro che all’essere umano deve sempre rimanere la decisione, anche con i toni drammatici e urgenti con cui a volte questa si presenta nella nostra vita. Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine. Abbiamo bisogno di garantire e tutelare uno spazio di controllo significativo dell’essere umano sul processo di scelta dei programmi di intelligenza artificiale: ne va della stessa dignità umana’. Penso che il Papa abbia espresso con la consueta lucidità una posizione di principio a favore dell’umanità, a favore del Bene Comune. Ed oggi è indispensabile lavorare per il Bene Comune, non per interessi particolari”.
Vede il rischio che l’uomo diventi come l’Ia, tutto cervello e niente cuore?
“Credo che l’Ia non sia il rischio principale che stiamo correndo. Mi sembra che l’assuefazione alla violenza, ai drammi, ai troppi conflitti nel mondo, sia una strada negativa che abbiamo già iniziato a percorrere. È necessario uno scatto di umanità perché stiamo vivendo la guerra mondiale ‘a pezzi’ che Papa Francesco denuncia da anni. E mettiamo mano a costruire il grande cantiere della fraternità umana”.