AGI - Professoressa Lazzeroni, girano da anni molte ricerche che stimano i posti di lavoro che verranno sostituiti dall'Intelligenza Artificiale. Quali sono, a suo giudizio, i settori che rischiano di essere più colpiti? Ritiene che in alcune analisi ci sia un eccesso di allarmismo?
"In effetti, quando parliamo di IA, si prospettano da tempo i più estremi approcci catastrofistici ed entusiastici. Per i primi, alla perdita massiva e strutturalmente stabile dei posti di lavoro si accompagneranno costrittività tecnologiche e obsolescenza professionale; per i secondi, al contrario, l’introduzione dell’IA non solo non genererà impatti occupazionali negativi stabili – che piuttosto saranno solo transitori e arginabili da un attenta opera di formazione professionale e azioni temporanee a sostegno del reddito – ma consentirà di aprire a lavori più qualificanti, presidiati da concetti di cooperazione, sviluppo, condivisione, benessere. Certo è che non si può non riconoscere che il tema della cosiddetta “Disruptive Innovation” – l’idea cioè che le IA, introducendo modelli disruptive rispetto ai consueti sistemi produttivi, finiranno per incidere sui numeri occupazionali – è al centro oggi di tutti i principali dibattiti, come lo è stato, per la verità, in occasione di ogni snodo delle precedenti rivoluzioni industriali; ciò dal momento che da ogni mutamento dei modelli di business ci si attende un effetto in qualche modo dirompente.
Nel caso delle IA, tuttavia, non si tratta semplicemente di ipotizzare l’introduzione di nuove tecniche di lavorazione in un campo specifico (come l’automotive), perché le IA sono destinate – non lo si può negare – a rivoluzionare anche il modo di pensare la società e quindi il lavoro. Per questo motivo, alcuni settori sono certamente destinati più di altri a subire gli effetti delle IA: ma qui sarei propensa a dire che dovremmo cercare di capire in che termini si genererà un “Displacement Effect”, quindi un effetto “spostamento” tra un tipo di occupazione e un’altra, invece favorita dallo sviluppo delle IA. Ad ogni modo, sarei propensa a pensare che l’impatto sicuramente si registrerà nei riguardi di categorie o classi di lavoratori, incidendo cioè sulla “composizione” della forza lavoro. Potremmo cioè assistere a un impatto occupazionale maggiore sui lavoratori di età medio-elevata (già meno appetibili nel mercato) rispetto ai più giovani, in possesso di maggiori competenze, propensioni e abilità informatiche e digitali; oppure su quelli meno specializzati (e dunque più fragili); oppure sulle lavoratrici, per la loro minore propensione a specializzarsi in ambito tecnologico e digitale, tanto che la vicesegretaria generale delle Nazioni Unite, Sima Bahous, al discorso inaugurale della 67esima sessione della Commission on the status of women (Csw), nel marzo 2023 ha affermato che «il divario digitale è diventato il nuovo volto della disuguaglianza di genere".
Come commenta l'intervento di Papa Francesco al G7? A me è parso molto concreto nel richiamare la politica alle sue responsabilità perché eviti, come accaduto per le banche e per internet, che soggetti privati assumano il controllo di attività di pubblico interesse diventando, in alcuni casi, più potenti degli Stati.
"Condivido. Assistiamo a tale “traslazione” dei poteri già in ordine alla disciplina relativa all’uso dei dati che transitano nella Rete, laddove pensiamo che la stessa strategia europea sui dati avrebbe previsto di favorirne un processo di condivisione multidirezionale, tra governance e business, impostati nella multi-direzione da pubblico a pubblico (G2G), da pubblico a privato (G2B), da privato a pubblico (B2G) e da privato a privato (B2B), per quanto tale condivisione risponda al dichiarato scopo di compensare lo squilibro delle piccole e medie impresse nell’accesso a dati invece detenuti in grandi quantità dalle multinazionali. È evidente che si tratta di aspetti particolarmente delicati perché riguardano la «fiducia» che i cittadini dovranno pienamente confermare in primis nei riguardi delle istituzioni per l’utilizzo di tali dati e, in generale, nella assoluta conformità della condivisione e utilizzo dei dati fra attori, soprattutto privati, rispetto alle regole sulla privacy attualmente esistenti. Dell’intervento di Papa Francesco, personalmente, ho particolarmente apprezzato anche lo svelamento del volto ambivalente delle IA, nel costituire uno strumento di democratizzazione e, al tempo stesso, in relazione agli usi, mezzo di emarginazione sociale. Ed è vero, come affermato, che la storia dell’uomo è fatta dagli “strumenti” di cui costui si è servito. Per questo credo che gli Stati abbiano in effetti una grandissima responsabilità. Una politica europea e nazionale di sostenibilità non può non affrontare i cambiamenti con approcci sistemici e di ampia portata: adoperandosi concretamente per non replicare, non confermare e, ancor meglio, non accrescere le diseguaglianze nel mercato del lavoro e sul lavoro; adoperandosi per stemperare e ridurre il nuovo volto ‘elitario’ del diritto del lavoro della platform economy, delle Intelligenze Artificiali, dell’era della remotizzazione e della weberizzazione che restringono l’area della subordinazione a vantaggio di una finta autonomia, accrescendo ancor più il potere nelle mani di pochi colossi industriali; adoperandosi per rispondere alla richieste di modifica di manodopera di quel «mercato» delle transizioni (soggetto a rapida obsolescenza), con un occhio vigile, onde intercettare per tempo i possibili impatti sul lavoro; adoperandosi per costruire una «cassetta degli attrezzi» adeguata a limitare gli effetti più significati del mutamento di paradigma che le IA inevitabilmente genereranno.
Con l’attuale competizione geostrategica tra blocco Nato da una parte e Cina e Russia dall’altra, è possibile giungere a standard internazionali sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale che arrivino almeno a bandire le armi in grado di autodeterminarsi?
"Credo che la definizione di standard internazionali comuni rappresenti uno degli aspetti di maggiore criticità. Da un lato perché non vi è l’interesse, da parte delle multinazionali, a che si adottino regolazioni in grado di imbrigliare le “libertà di mercato”, tanto meno se quelle regolazioni hanno portata mondiale. D’altro perché la posizione dei governanti dei due blocchi sono profondamenti divergenti, e più difficilmente ricomponibili in questo particolare momento storico, fatto di nuove e continue tensioni internazionali. Inoltre, la corsa alla conquista di sempre più performanti forme di IA rende sempre più “interessante”, per tali blocchi, continuare nella strada della ricerca e dello sviluppo di strumenti e tecniche che altri non abbiano ancora conseguito o perfettamente sviluppato".
Che valutazione dà delle iniziative legislative adottate sia in campo nazionale che comunitario in campo di IA?
"Personalmente – ma la mia posizione è condivisa anche da una larga fetta della dottrina giuslavoristica italiana – ritengo che il testo definitivamente licenziato dall’UE sia stato fortemente ridimensionato, depotenziato e inopportunamente impoverito rispetto a quello licenziato dal Parlamento europeo nel giugno 2023, che trovavo invece decisamente più garantista in tutte quelle parti che raccoglievano le proposte emendative espresse da 150 organizzazioni per i diritti umani della società civile presenti nel mondo, tra cui l’European Center for Not-for-Profit Law (ECNL)1. Nella nuova Legge sull’IA c’è poi un forte ridimensionamento anche delle parti sociali quali destinatari dei diritti di informazione e consultazione sindacale. Quanto alla proposta italiana, ho al momento apprezzato che si sia deciso di affrontare il tema nella giusta sede istituzionale, che è quella del Parlamento, ma ci vorrà del tempo per capire in che modo si svilupperanno i temi lungo l’iter parlamentare".
Ritiene efficace l'introduzione, annunciata al G7 di un marchio che distingua le aziende che fanno un uso "etico" dell'IA, ovvero improntato ai principi stabiliti dal codice di condotta approvato a Hiroshima lo scorso anno?
"Lo riterrei importante, questo sì. Ma la sua reale efficacia dipenderà da come si voglia impostare e far funzionare nel concreto questa specifica “responsabilità di impresa”. I temi della sostenibilità hanno infatti portato di nuovo in auge il vecchio tema della CSR, quindi della “responsabilità sociale d’impresa”. Si tratta di un tema che ha fatto tanto discutere per la scarsa capacità che hanno le istituzioni di controllare davvero che le imprese rispettino, non solo di facciata, quello che dichiarano di fare. Suppongo che l’idea sia quella, nella sostanza, di assegnare una sorta di “etichettatura sociale” a chi faccia un uso “etico” delle IA, che costituisca una sorta di promessa impressa nel prodotto, a sigillare la serietà nell’affrontare certe tematiche etichettate. Ma di fronte a un simile scenario le questioni che emergono sono davvero tante e relative, ad esempio, a ciò che si debba considerare “etico” (che non è affatto scontato); a come verificare che quanto dichiarato venga effettivamente fatto; a come arginare il rischio di affossare il pensiero critico del consumatore, portando a un adeguamento invece quasi sempre del tutto acritico e appiattito al trend (talvolta frutto dei veri tormentoni) che i social claim favoriscono; l’etichettatura deve essere a tal punto chiara da identificare a quale aspetto del prodotto o dell’attività si riferiscano i vantaggi decantati, non potendo essere generica o vaga; a come impedire e reprimere seriamente gli abusi e i socialwashing. Basti pensare, a questo riguardo, che nel gennaio 2022 la Commissione ha pubblicato un report, a gennaio 2022, da cui emerge che più della metà dei green claim non rispetterebbe le necessarie regole di trasparenza e correttezza, limitandosi a usare l’etichettatura come uno slogan da cui non si è in grado di trarre i contenuti sostanziali delle azioni di sostenibilità assunte. In altre parole, la serietà dell’azione si dimostrerà dalla reale capacità delle Istituzioni e dei controllori di impedire che sia tutta ‘fuffa’ (o ancor peggio ‘truffa’) quello che il mercato propina all’osservatore, al consumatore, al lavoratore e al cittadino globale di oggi, già molto appiattino su slogan, influencer e potere dei mezzi di comunicazione e dei social".
Qual è la sua definizione di sostenibilità digitale?
"Credo che la chiave delle definizioni stia nella semplicità espositiva, ma la definizione di sostenibilità digitale non è banale, né è così semplice da fornire perché reclama di individuare il tipo di soggetto verso il quale l’attività debba essere sostenibile (non essendo indifferente parlare di cittadino, lavoratore, consumatore, etc.). In ambito lavoristico, considerato che la trasformazione digitale tocca le corde profonde dei contesti produttivi e di lavoro, coinvolge i lavoratori e riscrive le dinamiche relazionali e lavorative, sostenibile è quella trasformazione digitale che resta antropocentrica, sempre e comunque, e che consente ai lavoratori di continuare ad agire e fare nel rispetto di ciò che sentono di essere".
Quanto ritiene sia radicata la coscienza della correlazione tra sostenibilità e digitale all'interno di istituzioni e aziende in Italia? E quali azioni si possono intraprendere per far crescere questa consapevolezza?
"Personalmente, penso che lo sia ancora troppo poco, sia da parte delle istituzioni che da parte delle aziende. Penso invero che non lo sarà mai abbastanza, considerata la velocità con la quale si muove la trasformazione digitale. Definire le azioni da intraprendere non è semplice, perché questo richiede dapprima proprio quella consapevolezza che ancora manca, ma anche una condivisione di cosa sia la sostenibilità digitale e quali siano i valori comuni, delle società sviluppate che non potranno mai essere messi in discussione con l’avanzata tecnologica. Alcuni valori dati per assodati come diritti universali fondamentali potrebbero infatti non essere più adeguatamente presidiati con la trasformazione digitale e il sopraggiungere delle IA. Si pensi al lavoro infantile, forzato o coatto che, anche nelle economie più avanzate, può essere facilmente mascherato se svolto nel web; oppure si pensi al diritto alla salute e alla integrità fisica, messo a rischio dall’uso di determinate tecnologie; oppure ancora si pensi alle nuove frontiere della tutela contro le discriminazioni, in cui il lavoratore standard potrebbe un giorno essere discriminato dal lavoratore “aumentato”, potenziato. Certamente, la diffusione di una cultura e di una riflessione su questi temi è già un passo importante".