AGI - Gli influencer attraverso i loro canali social sono capaci di determinare le scelte delle migliaia, talvolta milioni, di persone che li seguono in termini di acquisti, stili di vita o abitudini alimentari.
Per questo motivo, diverse aziende hanno da tempo iniziato a collaborare con gli influencer per sponsorizzare i propri prodotti, dando vita in questo modo al cosiddetto “influencer marketing”, fenomeno che solo nel 2021 ha generato 13.8 miliardi di dollari.
Accanto agli influencer realmente esistenti hanno fatto recentemente comparsa i “virtual influencer”, figure che agiscono come veri e propri influencer, ma che non esistono fisicamente nel mondo reale. Sono infatti “personaggi” creati e animati tramite grafica 3D da aziende di marketing, disegnati appositamente per supportare particolarmente i grandi brand.
Alcuni esempi di questo fenomeno sono Lu Magalu e Lil Miquela, che su Instagram hanno accumulato complessivamente quasi 10 milioni di followers.
I risultati della ricerca dal titolo “Virtual Influencers in Online Social Media” pubblicati su IEEE Communications Magazine indicano che i Virtual Influencer, pagati anche 10.000$ per singolo post, offrono svariati benefici alle aziende che li utilizzano: si parla infatti di esclusività, totale fedeltà e possibilità di essere rappresentati in qualsiasi luogo e momento.
Sebbene i followers dei virtual influencers non possano realmente relazionarsi con loro e “fare la tara” a consigli erogati da personaggi virtuali o che non possono testare i prodotti, la ricerca evidenzia come il loro successo sia innegabile come dimostrano le importanti collaborazioni di cui sono testimonial (Knox Frost è stato utilizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per raccogliere donazioni e sensibilizzare i giovani sui comportamenti da tenere per evitare il contagio da coronavirus mentre Lil Miquela è stato utilizzato da Calvin Klein e Prada).
Ma cosa ne pensano le persone di tutto ciò? Sebbene molti credano che la creazione di un influencer virtuale al solo scopo di lucro sia immorale (42%), altri (12%) sostengono che non sia molto diverso da ciò che i normali influencers fanno: mostrare la parte migliore (spesso finta) di sé per guadagnare di più.
Il rimanente 45% si fiderebbe di un influencer virtuale in base al contesto in cui opera, principalmente per argomenti di tecnologia e fashion. In generale, le persone hanno mostrato sia interesse che paura per questo fenomeno che potrebbe diventare incontrollabile. Infatti, il 60% delle persone pensa sia impossibile costruire delle relazioni con loro (il 33% ha detto “forse”), il che riflette che solo il 15% dei partecipanti chatterebbe con loro.
Tra le preoccupazioni, sono emerse le molte similitudini (sia per estetica che comportamento) tra gli influencer virtuali e reali, soprattutto per il post di Bermuda.
Inoltre, nulla vieta che questi virtual influencer possano un giorno convogliare messaggi più pericolosi che semplici annunci pubblicitari. Oppure, se i loro contenuti fossero generati automaticamente da algoritmi di intelligenza artificiale, la loro moderazione diventerebbe sicuramente più problematica. Vista la loro popolarità sempre crescente, ci aspettiamo molte nuove ricerche sul campo, ad esempio riguardo il loro recente approdo sul metaverso. Indubbiamente, questo è solo l’inizio.