AGI - La piattaforma di videogiochi in cloud è morta, viva i videogiochi in cloud. Stadia ha chiuso, ma il settore che ha contribuito a creare non è mai stato così forte. Il servizio di Google sembra essere stato vittima dei propri errori. Partito con (troppo?) slancio, ha finito per prendersi tutto il vento in faccia.
La sua storia però non riguarda solo il cloud gaming ma tutto l'universo dei videogiochi, con l'ingresso di nuovi protagonisti, le console che tengono botta, il mobile che continua a guadagnare quota e un futuro in cui - probabilmente - questa distinzione tra hardware avrà molto meno senso di adesso.
Breve cronistoria di Stadia
Al momento del lancio, nel 2019, Stadia sembrava il classico elefante nella cristalleria. E non solo perché ha alle spalle la potenza finanziaria e tecnologica di Google. Il servizio prometteva di rivoluzionare il mondo dei videogiochi trasferendo tutto sul cloud. In pratica, voleva dire (almeno nelle intenzioni) poter giocare ovunque e su qualunque dispositivo senza soluzione di continuità. Voleva dire (sempre secondo le intenzioni) sostituire l'acquisto di un hardware con quello di un servizio.
“Tanti modi di giocare, nessuna console”, è il claim della piattaforma. Sembra una prospettiva plausibile anche ai mercati: nel giorno dell'annuncio di Stadia, il titolo di Sony (produttore di PlayStation) perde il 3,38% e quello di Nintendo (casa madre della Switch) il 3,21%. Microsoft, invece, resta imperturbabile, per la semplice ragione che la Xbox rappresenta solo un pezzetto del suo bilancio.
Un modello perdente
Presto però affiorano i primi punti deboli. Oltre alla necessità di una connessione più che solida, la sbandierata liberazione dall'hardware non è reale: gli smartphone compatibili sono pochi, per giocare sulle tv serve la chiavetta Chromecast Ultra, è obbligatorio il controller ufficiale. Alcuni di questi vincoli sono stati rimossi, ma un peccato originale resta: Stadia ha un catalogo limitato e senza videogiochi originali.
Google prova a colmare la falla inaugurando una divisione dedicata (Stadia Games & Entertainment) e due studi, con l'obiettivo di sviluppare titoli propri. Un fallimento. Già nel 2020, Big G inizia a disimpegnarsi e, nel 2021, chiude la struttura: non produrrà più titoli originali. Motivo: “Per creare da zero i migliori videogiochi servono anni e investimenti significati, con costi che stanno salendo esponenzialmente”, affermava il capo di Stadia Phil Harrison. Una spiegazione che racconta quanto Google avesse sottovalutato il settore e conferma come la piattaforma non fosse proprio al centro dei pensieri del ceo Sundar Pichai.
E poi c'è la scelta del modello finanziario. Esiste un abbonamento (Stadia Pro), ma Google punta su demo gratuite e sull'acquisto dei singoli giochi a prezzo pieno. Una scelta in controtendenza rispetto all'intero mercato dell'intrattenimento, che sta virando verso gli abbonamenti per avere entrate più regolari e costanti.
La cautela dei concorrenti
Stadia ha sicuramente accelerato il cloud gaming, ma ha anche suggerito ai potenziali concorrenti cosa non fare. Poco dopo Google, infatti, sono arrivati praticamente tutti. Amazon ha lanciato Luna con grande cautela: annunciato nel 2020, il servizio ha avuto un lungo periodo di test e accesso limitato, ampliando l'offerta solo lo scorso marzo e solo negli Stati Uniti. Pare quindi si sia preso tutto il tempo per capire dove andare, modulando diversi pacchetti e partendo da prezzi molto bassi.
Anche i produttori di console si sono dotati di servizi simili, aprendo le proprie “Netflix dei videogiochi”, come le aveva definite il ceo di Microsoft Satya Nadella. C'è il cloud per Nintendo Switch, c'è Xbox Cloud Gaming e c'è PlayStation Plus. In questi casi, videogiochi in streaming sono un servizio aggiuntivo delle console piuttosto che una loro alternativa.
Quanto valgono i videogiochi in cloud
Potersi permettere più cautela consente di cavalcare l'onda. Sì, perché Stadia ha fallito, ma - afferma il Global Cloud Gaming Report di Newzoo - “l'ecosistema del cloud gaming non è mai stato così grande è in salute”. Nel 2020 valeva 671 milioni di dollari. Nel 2021 ha sfiorato il miliardo e mezzo, con 21,7 milioni di utenti paganti. Quest'anno potrebbe ricevere una spinta dalla penuria di semiconduttori, che penalizza la produzione di hardware e - di fatto - incentiva i servizi. Nel 2024 potrebbe superare i 6,3 miliardi, con utenti quasi triplicati rispetto allo scorso anno.
Dalla Netflix dei videogiochi ai videogiochi di Netflix
Sull'onda sono già salite o stanno salendo società nate – come Google, Amazon e Microsoft – in altri settori. Ci sono produttori di processori (Nvidia, con GeForce Now) e aziende-ecosistema (Apple, con Arcade). Alla lista potrebbe aggiungersi Netflix. Sulla piattaforma di streaming, i videogiochi ci sono già, inclusi nell'abbonamento. Alcuni sono in esclusiva, tutti sono gratis e senza la possibilità di acquisti in-app. Ma per aprirli è necessario uscire dalla piattaforma e scaricarli da Google Play o App Store.
Stando ad alcuni annunci pubblicati dalla compagnia, però, sembra che Netflix stia cercando figure professionali destinate al cloud gaming. Difficile immaginare un abbonamento a sé. Più probabile che sia il primo passo verso lo sviluppo di titoli da fruire direttamente sulla piattaforma, magari derivati da serie tv e film originali, che arricchiscano il catalogo e si rivolgano a un pubblico generalista. Dalla Netflix dei videogiochi ai videogiochi di Netflix.
Il futuro dei videogiochi tra smartphone e nuvole
Newzoo ricorda che si tratta di un mercato ancora in fasce, che attraverserà un periodo di consolidamento, fatto di fallimenti, fusioni e acquisizioni. Come dimostra il caso Stadia, le piattaforme sono ancora alla ricerca di un “equilibrio tra performance tecnica, flessibilità e costi”.
Gli analisti sono però convinti che la crescita di questi anni non sia una fiammata: “Il futuro del cloud gaming è luminoso ed è fondamentale per il mercato nel suo complesso”, che nel 2022 varrà 196,8 miliardi di dollari, il 2% in più rispetto allo scorso anno ma il doppio del 2016.
Più della metà (103,5 miliardi, il 53%) è generata dai giochi per smartphone e tablet, ma le console reggono: la loro quota di mercato (che a differenza del mobile fluttua in base ai lanci delle tre maggiori console) è del 27%, in linea con quella degli ultimi anni. Da vittime designate del cloud, ne sono diventate il principale avamposto. Almeno fino a quando connessioni, prestazioni e fatturati non saranno così solidi da slegare (davvero) i videogiochi da un singolo dispositivo e spedirli sulla nuvola.