AGI - Sarebbe interessante scoprire come sarebbe oggi il mondo della tecnologia di consumo se il 20 maggio del 2019 la Casa Bianca guidata da Trump non avesse messo fuori gioco con una mossa a sorpresa Huawei, uno dei protagonisti assoluti della scena, la cui crescita sembrava ormai inarrestabile.
Sarebbe interessante anche sapere cosa si dissero l’ad di Apple Tim Cook e lo stesso Trump in un incontro del 7 marzo di quell’anno – quello in cui, durante la conferenza stampa conclusiva il presidente Usa fece la storica gaffe in cui lo chiamava ‘Tim Apple’.
E sarebbe interessante sapere se durante quel colloquio i due parlarono della quota di mercato globale di Huawei che aveva raggiunto Apple al 12% o di quella in Europa, dove il colosso cinese aveva compiuto il sorpasso di un punto percentuale: 18 contro 17.
Ma oggi che il confronto tra Usa e Cina si è esteso ben oltre gli smartphone e il 5G, sarebbe pura accademia. Lo scenario del mercato non è poi così cambiato: lo spazio occupato un tempo da Huawei è stato in parte conquistato da Apple (mission accomplished, direbbe qualcuno) e per il resto parcellizzato tra altri brand cinesi come Xiaomi, Oppo, realme, vivo e OnePlus.
E cosa ne è stato di Huawei? Non ha smesso di produrre smartphone – che ancora oggi, come dimostra il P50 appena presentato – eccellono in tecnologia e innovazione, ma ha di fatto smesso di venderli in Europa e ovunque si faccia ancora totale affidamento sui Google Mobile Service (GMS) praticamente indispensabili per chiunque voglia usare app con, ad esempio, la geolocalizzazione.
Ci sono i modi per bypassare questa mancanza e continuare a usare social network e altre app teoricamente inaccessibili anche su uno smartphone Huawei senza GMS, ma bisogna guardare in faccia la realtà e riconoscere che a nessuno verrebbe in mente di caricarsi questa noia su un telefono per il quale ha speso mille euro.
Eppure sbaglia che pensa che Huawei sia uscita completamente dal mercato. E lo dimostra il successo degli smartwatch o dei computer portatili che la casa cinese continua a mettere sul mercato dove sono concorrenti di brand blasonati come Dell e (al netto dei sistemi operativi) Apple.
Quello su cui punta ora è la creazione di un ecosistema – parola che definisce la nuova frontiera di qualunque brand tecnologico – in cui a dominare non siano i device ma il sistema operativo. Quell’HarmonyOs che Huawei ha sviluppato per rendersi indipendente da Android (e quindi Google) e che vuole portare a essere protagonista di quell’Internet delle Cose (IoT) che è legato a doppio filo allo sviluppo del 5G.
Dei piani di Huawei e di cosa è successo negli ultimi tre anni abbiamo parlato con Pier Giorgio Furcas, Deputy General Manager Huawei Consumer Business Group Italia.
Cosa ha fatto Huawei in questi anni?
A dispetto di quanto il mercato può pensare, non abbiamo smesso di fare telefoni. Continuiamo a sviluppare prodotti nuovi, investiamo in ricerca e sviluppo e nei prodotti nuovi ma è chiaro che da quando c’è stato il ban americano è iniziato un percorso di cambiamento che ci ha fatto passare dall’essere da azienda produttrice di smartphone ad azienda produttrice di un ecosistema.
Non siete certo i primi a farlo
Se si guarda ad altri player del mercato, è vero ma nella fattispecie abbiamo fatto qualcosa di più: abbiamo creato AppGallery (lo store di applicazioni proprietario su cui ha investito moltissimo, ndr) e HarmonyOs. Quando dico che siamo un’azienda produttrice di ecosistema non mi riferisco al mero device, ma ai pc, ai wearable, agli auricolari, ai monitor e stanno arrivando le stampanti. Non è solo una questione di device, ma di servizi. AppGallery è una piattaforma che si pone come terzo polo rispetto a quello di Android e iOs e con HarmonyOs, abbiamo voluto creare un sistema operativo aperto non solo per i prodotti di Huawei, ma per l’industria.
Volete fare concorrenza ad Android?
Le premesse sono diverse: il nostro non è un sistema operativo che deve essere per forza legato alla telefonia, ma che, non avendo necessita di attaccarsi ai cloud, può essere usato dagli elettrodomestici senza che in mezzo ci sia uno smartphone a fare da hub. Un bel vantaggio anche in termini di privacy e riservatezza delle informazioni che non devono necessariamente uscire dal sistema domestico. La nostra priorità è posizionare Huawei come una ecosystem company, con un ecosistema di servizi e dispositivi connessi all’interno di cinque scenari specifici - Smart Office, Smart Home, Entertainment, Smart Travel e Sports and Health - in risposta alle esigenze di mercato e ai desideri dei consumatori.
Con che risultati?
Al 28 aprile 2021, HarmonyOS era stato implementato su oltre 240 milioni di dispositivi Huawei, rendendolo il sistema operativo per dispositivi mobili in più rapida crescita al mondo. Oltre 2.000 fornitori hanno aderito ad HarmonyOS Connect, con oltre 150 milioni di dispositivi HarmonyOS Connect spediti. Alla fine del 2021 più di 33.000 servizi erano in esecuzione sui dispositivi HarmonyOS.
Come sta andando AppGallery?
Abbiamo messo in piedi una piattaforma che non è solo un contenitore di app, ma vende servizi come il gaming, il cloud, servizi video e musicali. Fatte salve alcune app, oggi possiamo dire all’utente finale che possiamo soddisfare al meglio le sue esigenze. Il 70% delle lamentele riguardava la mancanza di app bancarie e su tutte Banca Intesa e di Unicredit, che ora sono a bordo.
E in termini di utenti?
Siamo molto soddisfatti anche dell’evoluzione degli HMS (Huawei Mobile Services) e di AppGallery in questi soli due anni che si inserisce perfettamente in questa visione di ecosistema che possa rendere la vita delle persone veramente connessa. Solo in Italia abbiamo oltre 6,3 milioni di utenti attivi mensili, +38 milioni di nuovi download (+25%), e integrato 12.000 app in 18 categorie tra cui banking, app di servizi, giochi e intrattenimento, shopping, strumenti di navigazione e trasporto, notizie, social media. Abbiamo un dipartimento che propone AppGallery come un normalissimo canale social sul quale le aziende possono fare pubblicità e lo proponiamo alle agenzie.
Chi manca ancora all’appello in AppGallery? Quale servizio sentite che vi manca più di altri?
La verità? Poste Italiane. Ci piacerebbe averli a bordo nel più breve tempo possibile perché offre un ampio ventaglio di servizi agli utenti finali. È una app che fa moltissime cose ed è un passo verso la digitalizzazione dei servizi. Stiamo collaborando con loro, ma ci sono delle resistenze che speriamo di superare presto.
A che punto è il 5G in Italia?
È molto lento per diversi motivi: le infrastrutture innanzitutto e poi perché è molto costoso. Così il risultato è un rimpallo tra chi dovrebbe offrire i servizi e chi dovrebbe fare le infrastrutture: i primi non lo sviluppano se non ci sono le seconde e i secondi non vogliono investire senza una chiara visione sulle opportunità dei servizi. Non è sufficiente pensare che serva a scaricare un film in altissima risoluzione in pochi secondi: il vero 5G è rivolto all’utente finale, ma è un prodotto che deve servire all’industria. Anche per questo ci stiamo concentrando su un sistema operativo per l’auto intelligente – che funzionerà con il 5G - e su batterie che si carichino velocemente: un settore in cui abbiamo un’esperienza importante sviluppata proprio con gli smartphone.