Trump non è ancora riuscito a convincere nessuno. Nel giro di due giorni, il presidente degli Stati Uniti ha incassato due sberle sul 5G. Non che i sospetti si siano dissolti ma Gran Bretagna prima e Unione europea poi, pur introducendo alcune limitazioni e raccomodando controlli stringenti, lo hanno detto con chiarezza: non c'è un bando di Huawei. A oggi, quindi, solo due Stati hanno escluso il gruppo cinese: Stati Uniti e Australia.
Il rapporto tra Ue e singoli Stati
Le raccomandazioni Ue non risolvono di colpo il puzzle europeo. Come spiega la Commissione, sono “gli attori del mercato” a essere “in gran parte responsabili dell'implementazione sicura del 5G”. E sono sempre gli Stati membri i “responsabili della sicurezza nazionale”. Tuttavia, si rende necessaria una maggiore armonizzazione, perché lo sviluppo delle nuove reti “è una questione di importanza strategica per l'intero mercato unico e la sovranità tecnologica dell'Unione”. Nelle 45 pagine del documento, Huawei viene citata solo in una nota a margine. Così come non si scrive mai “Cina”.
Nelle Faq che accompagnano la pubblicazione, però, la posizione viene condensata in poche righe. Domanda: l'Ue “affronta il rischio di interferenza da un Paese terzo?”. Risposta: sì, “affronta tutti i rischi identificati, compresi quelli relativi all'interferenza di un Paese terzo attraverso la catena di approvvigionamento del 5G”. Ma “non si rivolge a nessun fornitore o Stato in particolare”. Non sono escluse “restrizioni rilevanti per i fornitori considerati ad alto rischio”, ma devono arrivare dopo “una valutare del profilo di rischio” basato su “criteri stabiliti” e “coordinati” a livello europeo. Tradotto: questo documento non blocca Huawei e Zte. E se qualcuno vorrà bandire le compagnie dovrebbe farlo in base a prove chiare (che al momento - e questo è sempre stato un punto cavalcato da Shenzhen – neppure Trump ha ancora fornito).
Gran Bretagna, il gran rifiuto di Johnson
Neppure la Gran Bretagna ha detto sì a Huawei. Come l'Europa, al momento, non lo ha escluso. Londra, però, ha già definito dei limiti più chiari: il gruppo cinese è riconosciuto come “fornitore ad alto rischio”. Uno status che non gli consente di costruire elementi nel cuore della rete britannica e proibisce che superi una quota del 35% nella fornitura di quelli periferici (come le antenne).
La posizione di Londra è il risultato di un lungo processo d'indagine. Lo scorso giugno, il direttore tecnico del National Cyber Security Center di Londra aveva definito “scadente” la sicurezza di Huawei. Alto rischio sì, quindi, ma niente bando integrale, nonostante alcuni funzionari del governo statunitense avessero premuto fino all'ultimo (con tanto di volo a Londra) per convincere Boris Johnson.
Italia: la linea Patuanelli
Il governo italiano ha detto e ripetuto di essere certo dell'impianto normativo costruito in questi mesi. Huawei e Zte non si toccano. La costituzione del Centro di valutazione e certificazione nazionale e l'istituzione del Golden Power sarebbero sufficienti. Intervistato da La Stampa poco prima di Natale, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli aveva spiegato che Huawei offre “soluzioni migliori ai prezzi migliori”. E che “con le giuste garanzie, la possibilità d'accesso non si discute”.
Parole che avevano fatto parecchio discutere perché snobbavano il parere del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che pochi giorni prima aveva raccomandato di “considerare molto seriamente” l’esclusione delle aziende cinesi dalla fornitura di reti 5G perché riteneva “fondate” le preoccupazioni sulla sicurezza nazionale. Patuanelli ha confermato la propria posizione il 28 gennaio, in un'audizione alla Commissione lavori pubblici.
Per il ministro, la normativa italiana sarebbe “un riferimento” in Europa. “Riteniamo che si possa tenere assieme l’esigenza di tutelare al massimo la sicurezza nazionale e dall’altro garantire agli operatori privati di poter avere accesso a tutte le forniture anche dai Paese extra Ue”. Cioè Huawei e Zte.
Germania e Francia
Angela Merkel si trova all'incrocio di diverse spinte contrapposte, sia politiche (interne e internazionali) che economiche. Bandire Huawei comporterebbe un irrigidimento dei rapporti con Pechino, ma Trump spinge per il divieto. Merkel si è sempre mostrata scettica nei confronti del bando, ma la frangia conservatrice della coalizione di governo la pensa diversamente.
Deutche Telekom e diverse case automobilistiche hanno ripetuto che vietare le forniture cinesi vorrebbe dire ritardare lo sviluppo del 5G in Germania. Ma la Bdi (la Confindustria tedesca) non si è detta contraria perché la priorità è evitare “interferenze” da parte della Cina. La discussione è aperta.
La Francia ha detto chiaramente di non voler seguire la posizione di Trump. Si è detta “vigile” sulla sicurezza, senza però bandire Huawei e Zte. Il governo conserva però il potere di veto sui progetti 5G proposti dagli operatori. Al momento, Orange (leader del mercato e partecipato dallo Stato) non usa Huawei in Francia ma sfrutta la fornitura cinese in Spagna e Polonia. Altri operatori francesi sono invece clienti del gruppo di Shenzhen.
Gli altri Paesi europei
Belgio. Un'inchiesta belga compiuta all'inizio del 2019 non aveva trovato prove sufficienti per escludere gli operatori cinesi dalla rete 5G. Pochi giorni fa, però, il ministro delle Telecomunicazioni Philippe De Backer ha riferito in Parlamento a proposito di una nuova raccomandazione dei servizi di sicurezza: dovrebbe essere “limitato” l'acquisto di componenti da “fornitori inaffidabili”.
Norvegia. A settembre la Norvegia ha dichiarato di non voler escludere Huawei. Il primo ministro, Nikolai Astrup, ha spiegato a Reuters di avere “un dialogo positivo con le compagnie”. “Nessuno verrà bandito dalla Norvegia”, ma “spetta agli operatori scegliere i loro fornitori”. Telenor, controllata dallo Stato, ha scelto la svedese Ericsson per lo sviluppo delle nuove reti. È reduce da una collaborazione decennale con Huawei sul 4G.
Olanda. Il governo ha varato una task force (che comprendeva anche gli operatori Tlc) per capire quanto i rischi fossero fondati. Risultato dell'indagine: i dubbi ci sono, ma il Paese sarebbe in grado di offrire “sufficienti risposte alle minacce”. Saranno pretesi “standard elevati” nella catena di fornitura. Ma niente bando.
Polonia. La Polonia sta studiando una nuova regolamentazione sulla sicurezza nazionale. Secondo i programmi, dovrebbe essere pronta a febbraio. Stando alle dichiarazioni del governo, non dovrebbe esserci alcun divieto nei confronti dei gruppi cinesi, ma norme più o meno rigide a seconda che si tratti di infrastrutture strategiche e periferiche.
Portogallo. A dicembre il governo ha fatto sapere al segretario di Stato Usa Mike Pompeo che non avrebbe bandito Huawei, preferendo la via della vigilanza nazionale e dell'obbedienza alle direttive europee. Il principale operatore del Paese, Altice Portugal, collabora con Huawei.
Spagna. In Spagna non c'è una forte spinta all'esclusione dei gruppi cinesi. Il gruppo Telefonica ha però annunciato a dicembre che ridurrà (ma non azzererà) gli acquisti da Huawei per lo sviluppo delle parti più sensibili della propria rete. La compagnia ha spiegato però che si tratterebbe di una scelta “esclusivamente tecnica”. Quindi non originata da ragioni di sicurezza: la fornitura verrà diversificata per evitare che un solo partner abbia troppo peso (che poi è un'altra delle raccomandazioni europee).
Ungheria. Per l'Ungheria “non ci sono prove” dei rischi legati a Huawei. A novembre il ministro degli Esteri Peter Szijjarto ha approfittato di un evento in Cina per annunciare che Huawei sarà coinvolto nello sviluppo delle rete 5G.