Eccolo il sistema operativo di Huawei. Si chiama HarmonyOS: esiste (come era già stato confermato) ed è pronto a partire camminando sul filo: dimostrare che la casa cinese può farcela, ma sottolineando che Android è sempre la prima scelta.
Non è (ancora) tempo di guerra
Richard Yu, ceo di Huawei Consumer Business Group, ha mostrato i muscoli e affermato – durante la conferenza per gli sviluppatori – che il sistema operativo sarebbe in grado di sostituire Android. Sarebbe, perché dal gruppo di Shenzhen arriva un messaggio chiaro: si tratta di un'eventualità, ma al momento non c'è l'intenzione di portare HarmonyOS su smartphone. Questo non vuol dire che non lo farà mai. Potrebbe essere una via obbligata se lo scenario dovesse ingarbugliarsi. Yu ha parlato di un sistema operativo capace di offrire “un'esperienza olistica intelligente su tutti i dispositivi e in ogni scenario”. Ma per ora, nella roadmap presentata sul palco la parola “smartphone” non c'è. L'esordio sarà su “smart screen che verranno lanciati entro la fine del 2019”.
Poi si passerà a smartwatch, altoparlanti intelligenti, set per l'auto, visori per la realtà virtuale. Lasciare gli smartphone sullo sfondo non aizza un conflitto – per ora solo latente – con Google e Android. Occhio alle date. L'annuncio di HarmonyOS arriva ad appena dieci giorni da uno snodo cruciale. Il 19 agosto scadrà il congelamento della “lista nera” di Trump che di fatto blocca le collaborazioni tra società americane e Huawei. Da allora in poi si inizieranno davvero a capire le possibili ripercussioni. Il gruppo di Shenzhen si muove ma non ha intenzione (né interesse, come non ce l'ha Google) di andare allo scontro frontale. Huawei non ha infatti mai smentito lo sviluppo del sistema operativo (che trova la propria origine nel 2009 e le radici di HarmonyOS nel 2017) e parla da mesi di piano B. Lo ha fatto Richard Yu in molte altre dichiarazioni. Lo ha fatto il deputy general manager consumer di Huawei Pier Giorgio Furcas a luglio, durante la presentazione italiana del Mate 20X 5G: “Google rimane il partner importantissimo”, con il quale “il rapporto non si è mai interrotto”.
Com'è fatto HarmonyOS
Le presentazioni di Huawei sono, di solito, molto “comparative”. Il gruppo non ha mai avuto paura di confrontare le performance dei propri prodotti con quelle dei concorrenti. Pur senza spingere troppo, lo ha fatto anche stavolta. Yu ha sottolineato infatti che HarmonyOS è qualcosa di “completamente diverso” da Android e iOS. È open source e punta a rimuovere ogni attrito tra un dispositivo e l'altro. In sostanza: basta sviluppare l'app una volta per avere accesso a dispositivi diversi. Un accorgimento che, almeno potenzialmente, permette di raggiungere più utenti con un investimento di tempo e tenero minore.
Il sistema operativo è anche compatibile con Android: far migrare la propria app richiederà pochi giorni. Huawei punta sulla leggerezza: utilizza un “microkernel”, cioè un kernel (il cuore del sistema operativo) “compattato”. Secondo la casa cinese, un codice più snello permetterebbe una migliore adattabilità a ogni dispositivo, specie nell'Internet of Things, più sicurezza e minore latenza (con tempi di risposta più rapidi del 25%).
Il vero obiettivo è l'ecosistema
In questo momento i dettagli tecnici contano fino a un certo punto. Per affiancarsi ad Android o (in prospettiva) sostituirlo non basta un sistema operativo. Come già aveva sottolineato il fondatore Ren Zhengfei a maggio, “la cosa più difficile è creare un ecosistema”. Cioè un ambiente nel quale ci siano sviluppatori che battezzino app e utenti che le utilizzino. È questa la vera forza del robottino verde: qualsiasi smartphone si acquisti (a eccezione dell'iPhone), si cammina in un universo digitale conosciuto, simile al precedente (al netto delle personalizzazioni di marchio).
Questo Huawei lo sa bene, tanto da ribadirlo nella nota ufficiale con la quale ha presentato HarmonyOS: il suo successo non dipenderà tanto da quanto va veloce ma soprattutto “da un ecosistema dinamico di app e sviluppatori”. Per crearlo Shenzhen partirà dalla Cina. Una mossa logica, che combina il vantaggio di un mercato casalingo con quello di non invadere il campo di Google. “Più avanti – ha spiegato Huawei - HarmonyOS si espanderà nell'ecosistema globale”. Di nuovo: il sistema operativo c'è ma resta – almeno per gli smartphone – il piano B.