Per ora è poco più di una vittoria simbolica, ma raccoglie i frutti di mesi di lavoro e di tweet di protesta: il 17 maggio il Senato americano ha votato sul mantenimento della neutralità della rete con 52 voti a favore e 47 contrari. Il principio - sancito durante l’amministrazione Obama - prescrive l’obbligo da parte degli operatori di trattare i dati trasmessi su Internet nello stesso modo. Quindi di non creare preferenze sulla velocità di alcuni servizi rispetto ad altri.
La decisione contrasta il principio fortemente sostenuto da Trump e dalla Federal communications commission - l’agenzia statunitense per le comunicazioni - secondo il quale gli operatori devono essere liberi di assegnare velocità diverse ai servizi online.
Ma ora la risoluzione dovrà passare per la Camera dei rappresentanti (dove i Repubblicani hanno la maggioranza), prima dell’entrata in vigore dell’abolizione della neutralità della rete, prevista il mese prossimo.
RT to thank Senate Democrats for standing united to protect the free and open internet! #NetNeutrality pic.twitter.com/H8TqSiApT2
— Senate Democrats (@dscc) May 16, 2018
La decisione di Donald Trump di demolire una delle più importanti eredità dell'amministrazione Obama, era stata vista dai più come l'esito di uno scontro politico tra i Repubblicani, schierati con i grandi Internet provider, e i giganti della Silicon Valley, tra i quali è sempre prevalso l'orientamento liberale. I problemi della Casa Bianca con le grandi aziende tecnologiche sono all’ordine del giorno dall’elezione di Trump, a partire dai reiterati attacchi del Presidente nei confronti dell’editore del Washington Post, che è anche fondatore di Amazon.
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Cosa significherebbe l'abolizione della neutralità
L’abolizione della neutralità della rete, in concreto, determina la possibilità da parte dei provider di assegnare diverse velocità ai servizi che si servono di Internet. Questo implica che un operatore possa, per esempio, fornire abbonamenti specificamente progettati per l’uso di Facebook o YouTube. Una soluzione di questo tipo favorirebbe però uno sbilanciamento del potere delle società tecnologiche più grandi rispetto a servizi emergenti. Ai quali potrebbe essere assegnata arbitrariamente una velocità minore.
Chi sostiene invece l’abolizione del principio di equo trattamento, evidenzia il fatto che alcuni servizi (come per esempio gli accessori dell’Internet of Things, che si servono della rete), non hanno bisogno della stessa capacità di altri servizi, e quindi sarebbe giusto poterla limitare.
Dal monopolio al dominio
Se la risoluzione sulla net neutrality non passerà anche alla Camera bassa del Congresso americano, sarà la vittoria di Trump, che da quando è in carica ha lavorato per sovvertire alcuni principi voluti dal suo predecessore. Come l’intesa sul nucleare e l’accordo sul clima di Parigi. Ma a rendere importante il tema della neutralità della rete negli Stati Uniti è anche il fatto che, con la “dottrina Trump”, chi offre la connessione a Internet salirebbe a una posizione di sostanziale dominio, dal momento che nel Paese At&T e Verizon controllano il 70 per cento della quota di mercato.
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Il dibattito sulla neutralità della rete aveva generato una vera e propria battaglia sui social network. Da un lato i sostenitori della politica di Obama, dall’altra chi si era schierato con Trump e con il capo della Fcc, Ajit Pai. Ma una ricerca pubblicata a gennaio dalla società di analisi di Internet Gravwell, aveva dimostrato che la gran parte dei commenti online a favore dell’abolizione della neutralità rete erano in realtà dei fake, di cui un milione proveniente da finti account PornHub.