Facebook ha ammesso di aver discusso a lungo con alcune grosse istituzioni mediche per dar loro la possibilità di analizzare e confrontare i dati degli utenti con quelli dei pazienti di ospedali e strutture sanitarie per un progetto di ricerca. Dopo la rivelazione della Cnbc, la società di Mark Zuckerberg avrebbe ammesso nel pomeriggio di giovedì che la notizia è vera, ma il progetto sarebbe stato messo da parte lo scorso marzo solo dopo l'esplosione dello scandalo Cambridge Analytica. Da quanto risulta, le discussioni sarebbero state avviate con la American College of Cardiology (ACC) e la Stanford University School of Medicine. Secondo la società, stando a quanto riporta il Guardian, tutto è stato fermato prima che alcun dato venisse condiviso o analizzato.
Facebook come strumento di controllo della salute
Nell'articolo della Cnbc si legge che nelle intenzioni di Facebook e degli istituti medici la ricerca avrebbe dovuto mettere a confronto - in forma anonima - i dati medici dei pazienti e le informazioni degli utenti. Incrociare queste informazioni, che riguardavano malattie o prescrizioni di medicinali, o ancora alcuni dati generali come età, amici, pagine seguite, condivisioni, il tutto al fine di tracciare un profilo quanto più possibile dettagliato degli utenti/pazienti, avrebbe permesso ai ricercatori di capire i loro bisogni, e magari riconoscere grazie ai dati se avessero bisogno di cure mediche o semplicemente di controlli. L'idea sembra fosse quella di fare dei social media più usato al mondo uno strumento di controllo della salute della popolazione.
Ma al momento non è chiaro come questa indagine avrebbe potuto essere condotta, contraddicendo in maniera piuttosto palese, scrive il Guardian, le norme della privacy americane contenute nel Health Insurance Portability and Accountability Act del 1996. Né quali sarebbero stati gli accordi economici per fare in modo che Facebook condividesse questi dati.
Sandberg: "Dipendiamo dai dati. Alternativa? Pagare"
Ma tanto è bastato per far tornare in auge la discussione sul business model di Facebook, di cui molti sembrano accorgersi solo ora. Facebook vende dati, da sempre, e si può permettere un servizio gratuito proprio perché monetizza il comportamento dei propri utenti sulla piattaforma. A tornare sul punto è stata ieri notte Sheryl Kara Sandberg, direttore operativo di Facebook e braccio destro fidato di Mark Zuckerberg, quando, in un'intervista alla Nbc ha detto che per evitare che i dati degli utenti vengano condivisi, venduti alle aziende per farne target di mercato, l'unica alternativa è che Facebook diventi un servizio a pagamento.
"La società dipende dai vostri dati" come fonte di ricavi, ha detto Sandberg, "Non ci sono alternative, dovrebbe diventare un prodotto a pagamento". Un'ipotesi che alcuni hanno sollevato in questo periodo. La ricchezza di Facebook arriva dagli inserzionisti, che possono fare pubblicità mirate usando i dati del social network. Ma non è una soluzione facile, i ricavi potrebbero essere molto inferiori. E a Wall Street l'idea non piacerebbe affatto.