L'abolizione della net neutrality negli Stati Uniti, con la quale Donald Trump ha demolito una delle più importanti eredità dell'amministrazione Obama, sta venendo interpretata da più parti come l'esito di uno scontro politico tra i Repubblicani schieratisi con i grandi internet provider, usciti apparentemente vincitori, e i giganti della Silicon Valley, tra i quali è sempre prevalso l'orientamento liberal. Una lettura parziale e un po' semplicistica. A rischiare davvero sono le startup non abbastanza ricche per competere in un internet fatto di "corsie preferenziali" per chi se le può permettere, dove non siamo più tutti uguali di fronte alla connessione. Giganti come Facebook, Google e Amazon hanno un peso - sia in termini di risorse economiche che di capacità di fare lobbying - superiore a quello dei provider (cioè le aziende che materialmente forniscono i servizi internet), i quali dovranno decidere se farli o meno pagare perché gli utenti possano avere un accesso più rapido ai loro prodotti.
Amazon e il nodo dello "zero rating"
"Nessuno è così pazzo da mettersi contro Bezos o Zuckerberg", si potrebbe asserire. La questione è più complessa, soprattutto per quanto riguarda Amazon e Netflix, concorrenti dirette di alcuni provider, come At&T e Comcast, in uno dei mercati più fiorenti del momento, quello delle serie televisive. È qua che entra in gioco la controversa pratica dello "zero rating", già messa all'indice da Tom Wheeler, l'uomo che guidò la Federal Communication Commission (Fcc) prima che Trump lo sostituisse con Ajit Pai, destinato a passare alla storia come il carnefice della net neutrality in Usa. Cosa significa "zero rating"? In sostanza, se guardi i contenuti prodotti dal tuo provider (o da fornitori terzi che lo pagano per questo), il traffico non viene contato nel limite di banda previsto dal contratto. Una pratica distorsiva della concorrenza che era già diffusa prima della decisione della Fcc. E, con l'abolizione della net neutrality, i provider vedranno aumentare ulteriormente (almeno in teoria) il peso negoziale nei confronti delle grandi web company.
Va detto che, nel caso specifico di Amazon, la lettura politica è troppo suggestiva per non essere almeno evocata. Jeff Bezos, il numero uno di Amazon, è ostile a Trump e il giornale da lui controllato, il Washington Post, è la testata dalla quale arrivano gli strali più duri all'immobiliarista diventato presidente. Sulla carta, una rete non più neutra minaccia l'obiettivo di Amazon Video di scalzare Netflix dal trono. Discorso diverso per lo shopping online, core business di Amazon, dove la forza del marchio è tale da non dover temere una connessione più lenta.
Apple e Microsoft nelle retrovie. Per ora
Nè Apple nè Microsoft sono membri della Internet Association, che raccoglie i principali giganti della rete, con Facebook e Amazon in prima linea, ed è stato il principale interlocutore della Fcc nel tentativo di convincere Pai a fare marcia indietro. Nella battaglia per la net neutrality entrambe le aziende sono rimaste per ora ai margini. Un approccio che ora potrebbe cambiare radicalmente. Apple, per esempio, sta per lanciare a sua volta un'offerta di contenuti video originali. Tale mercato è quello dove è più evidente la possibile distorsione della concorrenza a favore dei provider ma non è certo l'unico. Comcast, At&T e compagnia offrono quasi tutti servizi cloud e, in assenza di net neutrality, sarebbero nelle condizioni di favorire i propri a scapito di quelli rivali, uno scenario assai preoccupante sia per Cupertino che per Redmond.
Aol e Yahoo, le grandi assenti
Spiegare perché Aol e Yahoo non abbiano partecipato alle mobilitazioni in favore della net neutrality, a partire dal Day of Action, è piuttosto semplice. Entrambe le compagnie sono controllate da Verizon, uno dei principali provider americani, nonché uno degli più strenui difensori della politica dello "zero rating", che il vicepresidente Craig Sillman provò a giustificare paragonandola al servizio di consegna gratuita di Amazon. Aol e Yahoo sono due nobili decadute di internet, i cui servizi sono sempre più indietro, in termini di quote di mercato, rispetto a Google. Venuta meno la net neutrality, qualcosa potrebbe cambiare in positivo, soprattutto adesso che Verizon si prepara a integrarle in un'unica compagnia che si chiamerà "Oath".
Zuckerberg predica bene e razzola male
Facebook è una potenza tale che qualunque azienda tremerebbe alla sola idea di entrarci in conflitto. Nondimeno il suo fondatore Mark Zuckerberg è sempre stato tra i più grandi sostenitori della net neutrality. Almeno a parole. Il servizio Free Basics, pensato per i Paesi in via di sviluppo e con infrastrutture digitali mediocri, è infatti una clamorosa violazione dei principi della net neutrality, tanto da essere stato vietato in India. Free Basics fornisce infatti accesso gratuito ad alcuni siti fondamentali: i portali dei servizi pubblici della nazione di turno e... Lo stesso Facebook. L'intento dichiarato è nobile: consentire anche ai più poveri di connettersi a internet. Ma di fatto anche Menlo Park pratica lo "zero rating". Ovvero, ha già la possibilità di ripagare con la stessa moneta i provider. Non si tratta di uno scenario teorico. Pensiamo al Messico, dove Free Basics è disponibile e quasi tutti i provider Usa hanno una filiale.
La sfida di Google, aspettando la 5G
Pur facendo parte della Internet Association, Mountain View è il gigante del web che - come ha osservato Wired - forse più ha da guadagnare dall'abolizione della net neutrality. Alphabet, la holding che controlla Google, è infatti a sua volta un provider, attivo sia nella fibra ottica (Google Fiber) che nel wireless (Project-Fi). Se Alphabet riuscirà a espandersi ancora con l'arrivo della banda ultralarga, potrà proporre vantaggiosissimi pacchetti tutto compreso dove infilare anche il cloud e la tv digitale. Così non ce ne sarebbe più per nessuno.
Bisognerà quindi attendere una più vasta diffusione della 5G per capire quali saranno effettivamente i giochi. Ajit Pai e gli altri avversari della net neutrality hanno sempre sostenuto che, con la sua abolizione, si sarebbero reperite nuove risorse per finanziare gli investimenti su banda ultralarga, il che avrebbe favorito l'ingresso di nuovi attori in un mercato che è desolatamente oligopolistico. Come sottolinea Forbes, nel 55% del territorio Usa c'è solo un operatore su banda larga e nella maggior parte del restante 45% ce ne sono due. Quando la 5G consentirà a comparti ora embrionali, come la realtà aumentata e la realtà virtuale, di svilupparsi, è tuttavia difficile prevedere che il mercato diventerà più concorrenziale. A imporsi sarà il player in grado di presentare l'offerta integrata più conveniente ed esaustiva. E, in questo campo, sarà davvero complicato battere Alphabet.