Per vedere il 3% dei Piani individuali di risparmio (Pir) nelle casse dei venture capital, con tutta probabilità, servirà ancora tempo. La norma non dovrebbero trovare spazio nella legge di Bilancio 2018, come riferiscono all'Agi fonti parlamentari. In queste ore si stanno predisponendo gli emendamenti.
E, anche se non sono ancora del tutto escluse novità dell'ultima ora, filtra pessimismo sulla possibilità di accogliere la risoluzione promossa dall’onorevole Pd Silvia Fregolent e votata all'unanimità dalla Commissione Finanze della Camera lo scorso novembre. Prevede che tra i vincoli necessari per riconoscere un fondo come Pir (e, di conseguenza, per ottenere le agevolazioni fiscali che comporta) ci sia il vincolo di destinare almeno il 3 per cento della raccolta ai venture capital. Un meccanismo che traghetterebbe una parte del cospicuo risparmio italiano verso il flebile mondo degli investimenti in startup.
Cosa sono i Pir
I Pir sono strumenti di investimento a medio termine (hanno una durata minima di 5 anni) che, in cambio di agevolazioni fiscali, puntano a convogliare i risparmi verso le imprese, con un focus sui piccoli investitori (c'è un limite annuo per persone fisiche di 30 mila euro), sulle società italiane (il 70% delle risorse deve essere impiegato su strumenti finanziari emessi da imprese italiane o europee con forte presenza in Italia) di dimensioni medio-piccole (il 30% della fetta “italiana” deve andare a imprese che non fanno parte dell'indice FTSEMIB). Nel pacchetto proposto nella risoluzione, c'è anche l'innalzamento dal 5 al 10 per cento del tetto per gli investimenti effettuati da casse previdenziali o fondi pensione (un altro incentivo all'attrazione dei risparmi) e l'ampliamento del limite annuo da 30 a 100 mila euro. Un ampliamento della platea che richiederebbe risorse al momento non disponibili.