La Cina le ha vietate. E c'è chi le bolla come “aria fritta”. Ma come vede le Ico chi un'Ico l'ha promossa? Lo abbiamo chiesto a Claudio Perlini, uno dei primi italiani a optare per una “Initial coin offering”. Le Ico permettono a una startup di raccogliere criptovaluta (di solito bitcoin o ether) e di convertirla in dollari pronti all'uso. In cambio emettono un token, cioè una nuova moneta virtuale “di scopo”, il cui valore è legato al successo della startup. E che si può scambiare, cioè vendere e comprare, scommettendo su un apprezzamento o su un ribasso futuri.
Un sistema di voto su blockchain
Il progetto di Claudio Perlini si chiama Boulé. È un sistema di voto basato sulla tecnologia blockchain. Nel corso dell'Ico emette il suo “gettone digitale”, battezzato Bou. Dà diritto, in futuro, all'acquisto del servizio. In cambio dei propri token, Boulé accetta ether (la critpovaluta della piattaforma Ethereum), con un cambio di uno per 1000 Bou. In fase di pre-Ico (chiusa il 24 settembre e caratterizzata da un cambio più conveniente) ha raccolto all'incirca l'equivalente di 200 mila dollari. L'Ico vera e propria partirà il 6 ottobre e punta ai 3 milioni di dollari. Ma come si guadagna con un sistema di voto? La società venderà le licenze per l'uso della tecnologia. Le aree di business, spiega Perlini, sono due: “I governi e le società private che lo utilizzano per contest e sondaggi”.
La società in Estonia
Il ceo di Boulé arriva alla blockchain dal delivery. È il fondatore di SushiJet, una startup nata nel 2015 per consegnare sushi a domicilio. Non è andata bene e il servizio è stato sospeso lo scorso giugno. “Ho fatto molti errori che mi stanno servendo in questo momento. Uno su tutti: sottovalutare il contesto economico in cui si opera. Boulé, infatti, non ha una vocazione nazionale”.
Perlini è volato in Corea per conoscere i nuovi advisor. Userà le risorse dell'Ico per creare una fondazione senza scopo di lucro in Svizzera e istituire una società privata che venderà le licenze per l'utilizzo del sistema di voto con sede in Estonia. Scelta non casuale, perché il Paese offre agli imprenditori una cittadinanza digitale ed è stato il primo Stato a introdurre il voto elettronico.
“Il primo prodotto sviluppato – spiega Perlini - sarà un sistema per i voti d'opinione. Poi ce ne sarà uno dedicato ai voti per proposte di legge in Parlamento, il cui sviluppo rappresenta un semplice adattamento e dovrebbe essere pronto all'inizio 2018”. Ma l'obiettivo finale, quello più ambizioso, è creare un sistema di voto su scala nazionale. “Stimiamo che siano necessari un paio d'anni”.
Come nasce un'Ico
L'idea è nata ed è stata sviluppata con tempi impensabili per società che intendono finanziarsi con metodi tradizionali. Dal concepimento all'inizio della raccolta (partita il 27 agosto) poco più di due mesi: “A giugno ho visto che alcuni team riuscivano a raccogliere milioni con le Ico. Mi sono incuriosito. Avevo nel cassetto questo progetto e mi è sembrata la strada perfetta per promuoverlo”.
Se i tempi sono stretti, ancor più contenuti sono gli investimenti di partenza: circa 5 mila dollari. Perché, per avviare un'Ico non è necessario avere una società strutturata. Le cose essenziali sono, come sottolinea Perlini, “la creazione di un team, di contenuti e storytelling, come su Kickstarter”. Già Kickstarter. L'assonanza ha fatto spesso accostare le Ico alle Ipo (cioè alle offerte pubbliche iniziali attraverso le quali le società approdano in borsa). In realtà il meccanismo è più simile al crowdfunding. Per lo stile delle proposte e perché le Ico non sono regolamentate (al contrario delle Ipo che invece lo sono eccome). I token, poi, non corrispondono all'acquisto di azioni, non rappresentano una quota di capitale e non offrono alcun paracadute se qualcosa andasse storto.
I rischi delle Ico
Molti osservatori, tra i quali il padre di Ethereum Vitalik Buterin, hanno definito le Ico “una bolla”. È un'opinione (per quanto autorevole). È certo però l'elevato rischio d'investimento. I termini e le condizioni di Boulé lo dicono chiaramente: i token “non sono bond”, “non sono derivati”, “non danno diritto a interessi”, “non rappresentano equity”. E soprattutto, si legge in un bel carattere 18, “non comprate Bou se non siete esperti di criptovalute e blockchain”.
In questo periodo di far-west, c'è quindi un obiettivo squilibrio tra chi raccoglie (e incassa in piena libertà) e chi investe. “È vero – conferma Perlini - che chi investe non ha tutele e deve essere molto accorto. Questo dovrà essere il prossimo passo: creare una maggiore consapevolezza. E introdurre alcuni limiti che oggi non esistono, come l'obbligo che l'Ico finanzi un prodotto già funzionante e un team già costituito”.
Vietare o regolamentare?
La soluzione, secondo Perlini, non è quindi vietare (come in Cina) ma regolamentare. Normare un mercato “non significa peggiorarlo ma dare tutele agli investitori”. Per questo il fondatore di Boulé non è solo convinto che le Ico “rappresentino oggi una grande opportunità per gli imprenditori italiani”. Ma che saranno anche in futuro “un nuovo canale per ottenere liquidità alternativo a quelli tradizionali. Sono convinto - aggiunge - che vedremo entrare nel mercato fondi pensione ed Sgr”. A patto che ci siano nuove regole.
L'idea sta avendo seguito. “Dopo averne parlato, so di almeno sei imprenditori italiani pronti a lanciare un'Ico”. A loro, come ad altri che intendano farlo, Perlini tiene a dire un paio di cose: “Primo: le Ico non devono farsi per avidità. La community ignorerà progetti fondati sulla speculazione. Secondo: non si sa se e quando le regole cambieranno. Dalla primavera 2018, penso che non sarà più possibile raccogliere come e quanto si sta facendo adesso”. Tradotto: le Ico hanno un futuro, ma le norme (che, prima o poi, arriveranno) e la disposizione degli investitori non permetteranno di ottenere milioni così facilmente.