Intelligenza artificiale e big data non ripareranno gli impianti che perdono (per quello servono investimenti, tanti). Però qualcosa possono fare. L'emergenza idrica di questi giorni ha riproposto il tema dell'inefficienza. Se al rubinetto non arriva acqua, il primo passo per un idraulico, una grande impresa o una rete nazionale è lo stesso: capire da dove perde il tubo. C'è una startup italiana che fa proprio questo: si chiama The Energy Audit, è accelerata da MIPU e sviluppa algoritmi predittivi. Cioè raccoglie e analizza i dati per prevedere il fabbisogno di acqua (o elettricità) in un determinato periodo o in una zona precisa. E confronta le previsioni con l'effettiva richiesta ogni 15 minuti.
“Le previsioni si basano su temperatura, presenza di aziende aperte, numero di persone”, spiega Giulia Baccarin, fondatrice di The Energy Audit e MIPU. “Se c'è una discrepanza, è probabile che sia dovuta a due fattori: perdite (che contano in maniera prevalente) e frodi, cioè persone allacciate abusivamente alla rete idrica”. Sono utenze che (formalmente) non esistono. Ma che possono essere intercettate proprio attraverso l'analisi dei dati e il machine learning.
Monitorare l'acqua con l'intelligenza artificiale
Il compito di The Energy Audit è, sottolinea Baccarin, “monitorare e suggerire”. Alcuni progetti pilota hanno indicato le potenzialità di “ridurre lo spreco al 10-30%”. Forbice ampia, che però segna comunque un miglioramento rispetto all'attuale dato medio italiano, vicino al 40%.
Il passo successivo, cioè gli interventi diretti sugli impianti spettano ai “clienti”. Costi? Baccarin li definisce “irrisori”, non solo in confronto con gli investimenti in infrastrutture necessari ma anche rispetto alle spese sostenute per raccogliere i dati in modo tradizionale. “Stiamo parlando di un software che si ripaga in 9-12 mesi” grazie ai risparmi generati.
The Energy Audit collabora soprattutto con le aziende, ma ha attirato anche l'attenzione del governo. Non di quello italiano ma di quello coreano: da due anni partecipa a un progetto pilota della Korea Energy Agency, l'agenzia governativa di Seul. Tutto grazie a un contatto su LinkedIn.
Ha attirato l'attenzione del governo, coreano
“Ho studiato a Tokyo - racconta Baccarin – e volevamo espanderci in Corea perché l'intera area, dopo Fukushima, sta dimostrando grande attenzione al tema della sostenibilità energetica. Abbiamo scritto alcune e-mail. Una è arrivata a un manager dell'agenzia che si è mostrato interessato. Abbiamo fissato il primo contatto, a giugno 2015. Siamo stati in Corea e abbiamo ricevuto il primo ordine. A settembre sono venuti loro a Salò, dove ha sede il MIPU. Hanno approvato il progetto prima ancora che costituissimo la srl”.
Oggi i progetti pilota (cioè condotti con dati reali su aree circoscritte) di The Energy Audit in Corea sono otto (ce ne sono altri attivi in Giappone). Uno è sull'isola di Jeju, una sorta di laboratorio per le smart city del futuro. Così, senza bandi ma con una mail trovata su LinkedIn. Eppure le mail sono state inviate anche a imprese e istituzioni pubbliche italiane: “Ci abbiamo provato, ma con scarsi risultati”, racconta la fondatrice di The Energy Audit. “Faccio un esempio: con una mail ho ottenuto la risposta di un vice amministratore delegato di un'azienda da 100 mila dipendenti. Un mese dopo ero in Giappone per incontrarlo. In Italia con trenta telefona e venti mail non si riesce a parlare neppure con un sindaco”.
Una collaborazione nata da una mail su Linkedin
Volendo tradurre in percentuali? “Diciamo che in Italia ci ha risposto il 10% delle aziende private. Nel pubblico la percentuale va dall'1% a nessuno”. Secondo Baccarin “non è solo un problema di persone. C'è enorme difficolta a trovare l'interlocutore giusto e a capire chi ha potere decisionale”. E poi c'è un tema di procedure: “Per lavorare con la pubblica amministrazione deve essere aperta una gara, cui si accede solo se ci sono dei concorrenti”.
Per una startup (tanto più se innovativa o concentrata su un algoritmo) “è difficile trovare imprese simili”. Ed è complicato rientrare “nei requisiti minimi di fatturato”: il MIPU, ad esempio, accelera tre imprese per un fatturato complessivo di 4,5 milioni di euro. Senza contare che i tempi dell'innovazione spesso non collimano con quelli dei bandi pubblici. E allora? “Servirebbero meccanismi più snelli - propone Baccarin – e potrebbe essere utile dedicare alcuni territori all'innovazione per capire, con progetti pilota, se è applicabile”.