Lunedì 19 giugno Vice Media ha ottenuto un aumento di capitale di 450 milioni di dollari dal fondo Tpg, lo stesso che ha investito in questi anni in aziende come Airbnb e Spotify. Una cifra di tutto rispetto che ha fatto schizzare la valutazione dell'azienda a 6 miliardi. Fondata nel 1994, sede a Williamsburg, Brooklyn, New York, finora ha raccolto 1,5 miliardi e l'ultimo aumento di capitale servirà probabilmente per preparare il terreno alla quotazione in borsa. Si tratta solo dell'ultimo di una serie di investimenti che i fondi hanno fatto in media company americane negli ultimi anni. Al giornalismo di Vox Media sono andati finora 300 milioni, a quello di BuzzFeed 440, Medium ne ha raccolti 132 e Upwothy 12. Potrà suonare strano alle orecchie di molti abituati a sentire storie di aziende editoriali che chiudono, ma c'è un giornalismo che cresce. E assume.
A guardare questi investimenti fatti da fondi di venture capital e private equity la prima domanda è piuttosto scontata: perché? Perché società di investimento, chiamate a mettere soldi in aziende con il solo obiettivo di farne molti di più investono in aziende con un business così strano e incerto? Non stiamo parlando di gruppi industriali con interessi specifici nell'informazione, ma di fondi che hanno come unico obiettivo rendere più soldi a chi ha dato loro fiducia. Nomi che molto spesso sono ignoti alla maggior parte delle persone (come Tpg o Catamount Ventures) che però puntano cifre a 6 zeri. Nel giornalismo.
Cosa cerca un investitore in una media company
Chi conosce un minimo il mercato del venture capital sa bene nessun fondo investirebbe a cuor leggero nel giornalismo. Il motivo è semplice: si tratta di aziende che devono assumere persone e pagarle per produrre contenuti per un mercato che spesso li legge gratis (l'elenco fatto sopra è solo di siti, e potrebbe essere lungo pagine intere. Qui l'elenco delle media company finanziate finora). La sola idea di finanziare un business che si basa sulla produzione di contenuti (giornalistici, per giunta) farebbe indietreggiare il più audace capitalista di ventura, abituato ad investire in un software con la capacità di scalare piuttosto che in una media company al massimo capace di aumentare lettori e credibilità. Ma la storia degli ultimi anni racconta un'inversione di tendenza. Per citare il caso di Vice, i soldi serviranno a "creare la più grossa libreria di video al mondo, aumentanto la nostra offerta di notizie, di contenuti sul mondo del cibo, della musica, dell'arte dei viaggi" (19 giugno, Shane Smith, ceo Vice Media, Cnbs)
Vice, Vox, Fastcompany, Buzzfeed hanno reinventato il giornalismo online. Quanti hanno letto in giro articoli titolati '10 cose da sapere per...'? Copyright Buzzfeed, che dal 2010 ha generato sulle proprie pagine valanghe di click like e condivisioni (parliamo di 250 milioni di utenti al mese) proponendo un modo di fare giornalismo che all'inizio ha fatto drizzare più di qualche pelo ai puristi della professione. Con i grandi soldi però (dal round del 2014 in poi) sono arrivati anche i contenuti di 'qualità', giornalismo investigativo che ha fatto quadagnare a Buzzfeed diverse lodi e qualche richiamo in prima pagina del New York Times. "All'inizio i venture capital non rispondevano nemmeno alle nostre richieste di investimento" aveva spiegato nel 2015 John Peretti, ceo di Buzzfeed, "Ovviamente nessuno voleva investire in un'azienda che produce contenuti". Poi il vento è cambiato. Proprio a partire da quegli anni, con un lento raffreddamento negli ultimi due.
La capacità di parlare ad un pubblico giovane
Ai venture piace la capacità di queste aziende di generare contenuti che piacciono. Il clickbating di Buzzfeed, ok, ma anche gli spiegoni di Vox.com (con tutti i suoi prodotti verticali), o la capacità di sperimentare linguaggi nuovi e nuove tendenze come Vice. Questa 'nuova' generazione di media company riesce a parlare alle nuove generazioni (lo stesso motivo per cui Snapchat piace ai fondi della Silicon Valley, che finora ci hanno messo 2 miliardi). E molte sono riuscite nella sfida più difficile di tutte: fare in modo che gli utenti tornino sulle loro pagine dopo averle viste una volta. "Devono costantemente reinventarsi e capire dove va il loro pubblico" ha spiegato a Brendan Syron, capo del fondo di investimento Scout Ventures. "Non solo, devono essere in grado di sapere dove sta andando Facebook, dove va Google, e presentare nuovi modi di diffondere le news, nuovi format. E' un business difficile da mettere in piedi. Trovare dei lettori, tenerli stretti e farli addirittura crescere è un lavoro complesso". (agosto 2016, Bloomberg)
Essere 'nella testa' del lettore
I venture cercano qualcosa di complesso da trovare. Lo ha spiegato durante il primo boom delle media company Techcrunch in un articolo ancora attuale. Prendete una società che fa videogiochi. Per funzionare deve avere un prodotto che piaccia. Che diverta. Che venga riconosciuto e che un 'utente' abbia voglia di tornarci a giocare volentieri. Il creatore di questo videogioco è in qualche modo 'nella testa' del suo utente. Così per le media company (marzo 2015, Techcrunch).
I direttori, gli editor, cercano un po' di essere nella testa del lettore, proponendo loro un linguaggio e un brand riconoscibile. Un titolo 'alla Buzzfeed' lo si individua tra migliaia (per un periodo era diventato anche un piccolo sfottò tra i giornalisti, 'fare un titolo alla Buzzfeed'), come un'analisi di Vox o una video inchiesta di Vice. Sono siti che hanno cambiato il giornalismo digitale. Ne sono stati tra i più intelligenti interpreti e ne hanno guidato il cambiamento. Senza scadere nel clickbaiting becero (con le dovute eccezioni), ma proponendo anche contenuti di qualità. Il traffico di un sito, anzi, sembra non essere nemmeno la prima preoccupazione se non come cartina tornasole della capacità di parlare al proprio pubblico. I soldi non vengono dal traffico, non solo almeno, ma dalla capacità parlare in modo autorevole ad una certa fetta di lettori (attraverso i siti principali e le decine di verticali che hanno sviluppato intonro, dal food agli animali, dalle sneakers allo sport), rendendo anche più accattivante un pubbliredazionale, gli articoli a pagamento che compaiono, segnalati adeguatamente, in tutti questi siti. Che insieme agli eventi, all'ecommerce e alla capacità di creare prodotti verticali su temi specifici ma con lo stesso linguaggio e stile della casa madre ne fanno aziende profittabili. Due esempi su tutti: Eater.com (Vox) o Motherboard (Vice), diventate rispettivamente bibbie del cibo e della tecnologia.
Un mercato per grossi player (e prodotti di nicchia)
Non va tutto bene. Ci sono esempi che funzionano, altri che invece no. E sono tanti. Circa, che qualche anno fa era diventato il nuovo mantra dei giornalisti a là page, ha chiuso dopo qualche milione di finanziamenti. Mashable, bibbia del tech, da qualche tempo non se la passa benissimo e ha licenziato diversi editor. Sono centinaia le startup editoriali fallite. Il mercato dei media è per grossi (e grossissimi) player e i giochi della comunicazione giornalistica sul digitale sono almeno negli Usa già abbastanza fatti. Ma, parafrasando Syron, è un mercato in continua evoluzione e stare dietro ai cambiamenti di internet (social, motori di ricerca) non è facile. Un mercato del giornalismo ancora c'è, almeno online, e ci sarà per un bel po' di anni ancora.