I social creano dipendenza. Chi li usa tutti i giorni lo sa. Diventare schiavi delle notifiche, che avvertono quando qualcuno mette un like o un commento sotto a un post, può diventare una vera ossessione. Per raggiungere questo obiettivo, gli utenti vanno sempre più alla ricerca dell’attenzione e dell’approvazione esterna, contando una per una quelle che vengono chiamate reactions, e ponendo in secondo piano la validità e forza del contenuto proposto.
La prima piattaforma che vuole spezzare questo meccanismo è Instagram. Il social delle foto, di proprietà di Facebook, ha deciso di avviare alcuni test in diversi paesi, compresa l’Italia, togliendo la possibilità di vedere quanti “like” ha ricevuto un post. Si potrà sempre porre la propria approvazione davanti a un contenuto ritenuto particolarmente interessante ma scomparirà la possibilità di vedere quali siano i numeri complessivi raccolti fino a quel momento. Solo la persona che amministra l’account potrà vederli.
Tara Hopkins, Head of Public Policy EMEA di Instagram ha spiegato qual è il traguardo finale di questi esperimenti: "Vogliamo che Instagram sia un luogo dove tutti possano sentirsi liberi di esprimere se stessi. Ciò significa aiutare le persone a porre l’attenzione su foto e video condivisi e non su quanti Like ricevono. Stiamo avviando diversi test in più paesi per apprendere dalla nostra comunità globale come questa iniziativa possa migliorare l’esperienza su Instagram”.
L’esperimento di togliere i like ai contenuti era già stato annunciato da Instagram ad aprile durante F8, l’annuale incontro degli sviluppatori del gruppo Facebook. Allora, però, il test era limitato al Canada mentre ora si allarga ad altri contesti, nazioni, community.
Instagram is testing hiding like count from audiences,
— Jane Manchun Wong (@wongmjane) 18 aprile 2019
as stated in the app: "We want your followers to focus on what you share, not how many likes your posts get" pic.twitter.com/MN7woHowVN
“Unsocial media”
È Kaspersky Lab ad aver utilizzato questa definizione assai calzante. Le piattaforme social sono diventate sempre più delle vetrine che espongono oggetti anonimi, foto e frasi banali, video costruiti per creare scandalo e scalpore, pose superficiali e molto simili tra loro in cui la socialità, quella vera, è quasi scomparsa e le interazioni che si sviluppano non sfociano mai in discussioni mirate alla crescita degli individui coinvolti.
Il tutto è raccontato bene dai numeri raccolti da Kaspersky in una ricerca fatta qualche anno fa e che mostrava quanto questo meccanismo innato agisca in modo subdolo: il 61% degli utenti intervistati affermava, ad esempio, di stare sui social per sentirsi meglio ma il 57% confessava di non trovare quello che desiderava vedere; solo il 31%, cioè un utente su tre, non si preoccupava del numero di “mi piace” ricevuto quando pubblicava un post; il 24% degli uomini e il 17% delle donne addirittura si arrabbiava se non avesse ricevuto l'attenzione, espressa sempre in like, adeguata alle sue aspettative iniziali.
Poi ci sono altri due dati più preoccupanti. Pur di avere più like le persone mettono in discussione e in pericolo la propria privacy: la propria abitazione (37%), la propria mail personale (31%), lo stato della propria relazione (30%), il posto di lavoro (18%) e così via. Sui social, insomma, c’è tutto quello che ci riguarda. Spesso senza filtri.
Gli intervistati, infine, affermavano che per colpa dei social avevano iniziato a comunicare sempre meno con i genitori (31%) i figli (33%) i partner (23%) gli amici (35%) e i colleghi (34%). Questo accadeva due anni fa. Basta poco per capire che oggi questi numeri non sono affatto migliorati. Da allora le piattaforme hanno provato a trovare soluzioni per limitare questa escalation negativa.
La strada tracciata da Instagram
L’idea di base che sta alla base della decisione di Instagram è molto semplice: far sì che si smetta di pubblicare contenuti, spesso banali e comuni, che possano interessare indiscriminatamente una vasta e sconosciuta platea per concentrarsi maggiormente sulla propria individualità, il proprio modo di pensare e vedere il mondo. Essere apprezzati per quello che realmente si è e non perché si segue un modo di pensare standardizzato dal web e dagli influencer più in vista.
Ma non solo. Non ricevere l’approvazione del web è qualcosa che può generare insoddisfazione e, nei casi più gravi, una vera ossessione. Liberarsi dal giogo dell’astinenza da visibilità può sicuramente giovare alla salute psicofisica degli utenti. Il desiderio di far parte di un “gruppo sociale” ben definito, desiderio innato dell’uomo soprattutto in fase adolescenziale, si è spostato online. È sempre più forte, e in questo caso molto più semplice vista l’assenza di fisicità e immediatezza, la volontà di entrare a far parte di un “gruppo social”.
Poi c’è la questione esca. Ovvero il postare contenuti che servano solo a coinvolgere, nel caso più innocente, o ad aizzare, nel caso più indecente, una ampia comunità di persone verso determinati scopi: politici, economici, ludici. Tutto seguendo quell’istinto intrinseco e innato nell’uomo che, come scriveva Aristotele, è per sua natura un animale sociale. Eliminare la possibilità di vedere quante persone hanno già messo il loro like a questo tipo di post potrebbe essere il primo passo per limitare un fenomeno distorto che è sempre più presente. Anche in Italia.
C’è una frase che mi torna sempre in mente quando si affronta questo tema. È di Alda Merini e suona così: “Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri”. È un pensiero di rara bellezza se applicato al mondo reale. È un grande monito se applicato alle dinamiche che si sviluppano all’interno dei social network. Eliminare il desiderio disperato dell’approvazione altrui non può che essere una buona notizia. Vedremo se l’iniziativa di Instagram, sperando che sia imitata da altre realtà, riuscirà a deformare meno il pensiero, almeno online, di migliaia di utenti.