Proprio mentre Facebook penalizza gli editori, Google offre loro un nuovo strumento: le Amp Stories. Un'altra copia del formato inventato da Snapchat e importato da Instagram? Non proprio, anche se le similitudini sono molte. Mountain view lo ha lanciato, per ora in fase di test: è un modo di raccontare con immagini e brevi testi. Non è del tutto nuovo, ma nelle mani di Google potrebbe assumere tutt'altro peso. Ecco come funziona (e come potrebbe farlo in futuro).
Che cosa sono le Amp Stories
Per capire cosa sono le Amp Stories basta combinare le due parole che ne compongono il nome. “Stories” ormai è un termine popolare tra gli utenti di internet. Sono contenuti brevi, che combinano foto, video, adesivi digitali e brevi testi. A inventarli è stato Snapchat. Ma il formato è stato poi adottato da Facebook e Instagram, che hanno affiancato alla propria struttura tradizionale questi post a scomparsa (visualizzati con con un'immagine circolare).
Si tratta, in tutti e tre i casi, di contenuti temporanei, che dopo qualche ora scompaiono. La seconda parola è “Amp”. È un acronimo che sta per Accelerated Mobile Pages. Cioè “Pagine mobile accelerate”: in sostanza, quindi, è uno standard pensato per gli smartphone che permette di visualizzare i contenuti con più velocità e leggerezza. Un po' quello che fa Facebook con gli Instant Articles.
Cosa cambia rispetto a Snapchat
Amp Stories è quindi un sistema agile per visualizzare coutenti a tutto schermo, su smartphone. E in questo, al netto dello standard differente, è simile agli omologhi prodotti di Facebook, Instagram e Snapchat. Ci sono però alcune differenze. Prima di tutto una curiosità: per cambiare Storia o proseguire nella lettura dello stesso contenuto (che non è quasi mai costituito da una sola schermata), Google sceglie “il tap”.
Per andare avanti, quindi, non si scorre con il dito sul display verso destra o sinistra ma si pigia sullo schermo. Altra differenza: non è ancora chiaro se le Amp Stories saranno contenuti stabili e sempre rintracciabili o effimeri. Per ora non consentiranno di integrare pubblicità.
Meno social, più editoria
Google non è un social network né aspira ad esserlo. E questo è l'altro scarto dalle altre Storie: per il momento non c'è la volontà di aprire il nuovo formato a chiunque. Big G sembra voler privilegiare contenuti informativi e chi li produce per professione, cioè gli editori. Nello sviluppo iniziale della nuova tecnologia sono infatti coinvolti Vox Media, Condè Nast, Meredith Corp, Cnn, The Washington Post. Le Amp Stories potrebbero quindi richiamare gli utenti che seguono le testate su Snapchat o Instagram.
Ma non si sovrappongono del tutto a queste piattaforme (fatte anche di persone e non di editori). Lo standard Amp è open source. Tutti, quindi, hanno la libertà di produrre Stories. Ma bisognerà capire quali saranno quelle indicizzate dal motore di ricerca.
Com'è e come potrebbe diventare
Il peso delle Amp Stories dipende proprio dall'integrazione con il motore di ricerca. La versione attuale funziona così: si accede a Google e si inserisce nella solita barra bianca il nome dell'editore (ad esempio Vox, Cnn, Washington Post). I risultati, oltre ai classici indirizzi e alle notizie, includeranno un carosello di Amp Stories.
Basta un tap per aprirle. Non è chiaro se la ricerca sarà sempre e solo per editore o anche per argomento (magari in una sezione dedicata, come oggi succede per le news o per le immagini). In questo secondo caso, la platea e l'impatto del formato potrebbe moltiplicarsi. Chi volesse vedere con i propri occhi quanto descritto in queste righe, può farlo, solo da mobile, cliccando qui. Potrebbe così dare un sguardo alle Amp Stories disponibili e a come sarà il motore di ricerca tra non molto.