Il Giappone è in rampa di lancio con gli Stati Uniti oramai nel mirino, mentre la Germania viene staccata dalla Cina. La crescita delle economie dell’est ai danni di quelle occidentali è certificata anche dal Global Innovation Barometer, il report annuale redatto dalla General Electric.
La multinazionale statunitense che opera nel campo della tecnologia e dei servizi ha da poco pubblicato la sesta edizione del suo studio, quest’anno intitolato “Dal caos alla fiducia: attori, tecnologie e sfide emergenti”. Stilato grazie al contributo di 2.090 imprenditori, attivi in 20 paesi (e l’Italia non c’è), che si occupano di prendere decisioni in tema di innovazione per le loro aziende, il GIB rappresenta lo stato dell’arte della tecnologia in giro per il mondo. Leggerlo significa tuffarsi nel mondo dell’innovazione per cercare di decifrarne le linee principali.
Gli attori di domani
Il documento è organizzato in tre parti che offrono il punto di vista degli intervistati a una serie di temi. Alla domanda relativa a quale pensino sia il “campione d’innovazione globale”, la maggior parte ha risposto Stati Uniti. Washington, o forse sarebbe meglio dire la Silicon Valley, si conferma quindi la realtà più riconosciuta, ma in forte diminuzione rispetto alle scorse rilevazioni. Se appena due anni fa riscuoteva il doppio successo del Giappone (33% contro 17% di favori), oggi il vantaggio si è assottigliato ed è di appena 7 punti percentuali (28% contro 21%). Il tutto mentre la Germania perde la sfida diretta con la Cina, venendo staccata del 5%. Segno che le economie emergenti non sono più tali, quanto piuttosto realtà oramai affermate. La geografia dell’innovazione è piuttosto chiara: la maggior parte dei manager asiatici continua a guardare agli Usa come leader d’innovazione, mentre a incoronare il Giappone ci hanno pensato i sudamericani, dove i nipponici stanno investendo fortemente. Dinamica simile, ma con voto assegnato alla Cina, in Africa dove Pechino è oramai il principale partner commerciale.
“Prima i nostri (e le multinazionali)”
Il protezionismo tira parecchio. Soltanto quattro paesi dei venti da cui provengono gli intervistati credono che un ambiente economico caratterizzato dal protezionismo danneggi l’innovazione. Meglio quindi chiudersi a riccio. Lo sostiene complessivamente il 55% dei manager. Tutti però sono d’accordo però nell’affermare che le politiche in materia di tutela della privacy e protezione dei dati personali rappresentino uno svantaggio. Se proteggere l’innovazione è di fatto una delle priorità, un segnale parzialmente contrastante arriva dalle risposte alla domanda “Chi è che fa da traino all’innovazione?”. Quest’anno a farla da padrone sono le multinazionali, individuate da quasi un quarto degli intervistati (23%) come il motore tecnologico nel proprio paese. Soltanto due anni fa a guidare questa speciale classifica erano le piccole-medie imprese, il cui indice di gradimento oggi è dimezzato (11%).
Realtà aumentata, no grazie
Una sezione corposa del report riguarda le tecnologie del futuro. Spicca lo scarso impatto atteso per la realtà aumentata, mentre a infiammare i sogni degli innovatori di tutto il mondo sono le reti energetiche intelligenti e l’intelligenza artificiale. E sono in molti a scommettere che presto arriveranno la diagnosi medica virtuale e il trasporto elettrico, o da fonti rinnovabili, a rivoluzionare le nostre abitudini.
Un capitolo a parte è dedicato alle stampanti 3D. Sebbene se ne parli da anni, la tecnologia è ancora lontana dalle applicazioni quotidiane della maggior parte dei cittadini; eppure chi si occupa di innovazione è ancora convinto che impatteranno in maniera positiva sul mercato, aumentando le possibilità creative e consentendo una filiera più breve dal concept del prodotto al mercato. Con un risparmio non indifferente.
Slow è meglio
Per quanto riguarda la filosofia che muove gli investimenti, gli oltre duemila intervistati sono concordi: meglio prendersi qualche mese in più per lo sviluppo e atterrare sul mercato al massimo del proprio potenziale. Un bel cambio di ritmo, dopo l’imperversante filosofia del “first to market”, cioè l’importanza dell’essere i primi. “Le aziende preferiscono aspettare e proseguire nei test – si legge nel rapporto GIB – per perfezionare l’innovazione”. Per farlo si affidano all’analisi di big data e, più in generale, alla digitalizzazione. Il motivo? Difendersi dagli attacchi informatici sviluppando complessi meccanismi di difesa da hacker e avere un chiaro strumento di misurazione del ROI. Una misura il cui anagramma, da return on investment, diventa return on innovation, cioè ricavi dall’investimento in innovazione. Ma se è vero che la tecnologia può molto, a guidarla servono sempre persone in grado di farla fruttare. È per questo che la vera sfida del domani, concludono i manager, è trovare i talenti in grado di coprire quel gap di competenze che ancora oggi rappresenta il vero problema dell’industria tech.