Mezza Silicon Valley a Parigi non ci è andata in gita. E neppure per presenziare a una conferenza, per quanto importante, come Viva Tech. Mark Zuckerbeg, Satya Nadella e Dara Khosrowshahi (tra gli altri) in Francia ci sono andati per fare affari.
È l'effetto Macron: gli incontri istituzionali (l'ultimo all'Eliseo il 23 maggio) si trasformano in investimenti e confermano come la Francia si sia trasformata in quella “startup nation” voluta dall'attuale presidente quando ancora non lo era.
Gli eventi diventano investimenti
Facebook ha già aperto un centro di ricerca per l'intelligenza artificiale a Parigi. L'unico dei quattro fuori dagli Stati Uniti. IBM ha annunciato che assumerà 1800 esperti in intelligenza artificiale in Francia entro due anni. Adesso nella capitale francese atterra (è proprio il caso dire) Uber.
La società costituirà un centro di ricerca e sviluppo per i suoi taxi volanti. E anche in questo caso è il primo fuori dai confini Usa. Sarà attivo dal prossimo autunno e sarà nutrito con 20 milioni di euro di investimenti in cinque anni. Lo ha annunciato Eric Allison, capo del “programma aviazione” della società, in un post.
Il centro si chiamerà “Advanced Technologies Center” e rientra nel programma Elevate, lanciato nel 2016 e rivolto allo sviluppo di piccoli velivoli a decollo verticale. A Parigi Uber svilupperà progetti di intelligenza artificiale e soluzioni che poi verranno testate dal servizio UberAir, che punta alle prime sperimentazioni a Dallas, Los Angeles e in una terza città fuori dagli Usa entro il 2020.
Uber, si legge nel post, “cercherà di assumere i migliori talenti in ingegneria, machine learning e computer vision” e si focalizzerà su “gestione dello spazio aereo, autonomia, reti di comunicazione, stoccaggio dell'energia sistemi di ricarica”. Ma il centro non sarà solo tecnologia. Come sottolinea Allison, il presidente della struttura “lavorerà con gli enti di regolamentazione europei”, per definire il futuro del trasporto pubblico ed elettrico. E lavorerà a stretto contatto con l'École Polytechnique, con il quale Uber ha siglato un altro accordo quinquennale.
Il ceo Dara Khosrowshahi a Parigi
Il 24 maggio Dara Khosrowshahi era intervenuto sul palco di Viva Tech. E si era soffermato, tra le altre cose, proprio sul progetto dei suoi velivoli. “Oggi – ha affermato – le persone abitano in tre dimensioni, nei grattacieli, ma viaggiano ancora in due dimensioni. Il trasporto del futuro sarà elettrico, condiviso e tridimensionale”. E per raggiungere questo obiettivo, “le città avranno bisogno di Uber”. La società, infatti, “non è solo auto, ma anche biciclette elettriche e in futuro taxi volanti”.
Intervistato dal presidente di Publicis Maurice Lévy, Khosrowshahi ha anche parlato di aspetti del passato, del presente e del futuro di Uber. Guardando all'avvenire, si è detto certo che “quando la tecnologia sarà matura, la guida autonoma salverà migliaia di vite ogni giorno”.
Oggi uno dei temi centrali è il lavoro. Khosrowshahi ha definito quello attuale un “un periodo di transizione”, che potrebbe essere difficile soprattutto per i lavoratori meno qualificati. “Spetta alle aziende, in collaborazione con i governi proteggere” chi rischia maggiormente, attraverso “programmi di formazione continua”. Anche se gli autisti di Uber non sono dipendenti – ha proseguito Khosrowshahi – fornire condizioni di lavoro migliori “è un passo importante dal punto di vista social, ma anche per il business, perché attira più driver sulla nostra piattaforma”.
Parole che confermano il cambio di direzione (anche comunicativo) impresso dal ceo (in carica da settembre) rispetto alla gestione passata del fondatore Travis Kalanick. Appena arrivato alla guida di Uber, il manager ha raccontato di aver affrontato tre sfide: ha cambiato la governance (“il board è tornato unito”); la “cultura d'impresa” (“Uber ha cambiato i propri valori”) e la strategia del gruppo (“la mobilità non passa solo dalle auto”).