Libertà, uguaglianza e indipendenza informatica: negli ultimi due decenni la Francia ha investito sul software libero, promuovendo un mercato informatico da 500mila posti di lavoro e del valore di quasi 5 miliardi di euro. E questo ha portato il Paese a liberarsi dalle limitazioni che derivano dalla dipendenza dalle grandi corporation dell’informatica e dalle loro licenze. A raccontare l’avventura francese alla platea del Politecnico di Torino è Roberto Di Cosmo, direttore dell’Initiative de Recherche et Innovation sur le Logiciel Libre (Centro francese di ricerca e sviluppo del software libero, Irill) che si occupa di rendere più efficiente e “libero” il parco software della pubblica amministrazione d’oltralpe, in un incontro organizzato dal Centro Nexa su Internet e Società.
Perché l'Italia è in ritardo?
“Il problema non è né giuridico né economico: abbiamo bisogno di dirigenti con la volontà e le competenze necessarie per trascinare il settore pubblico verso un uso più efficiente delle tecnologie”, ha spiegato Di Cosmo ad Agi. “In Francia tutto è iniziato dai requisiti imposti dai dirigenti per gli appalti che riguardano i software, i quali prevedevano un tempo di risposta per eventuali problemi di sole quarantotto ore, risultato molto più facile da ottenere sul software libero”. Ma cosa si intende quando si parla di software libero? Secondo la definizione che ne dà la Gnu foundation, nata appunto per sostenerne la diffusione, si tratta di “software che rispetta la libertà degli utenti e la comunità. In breve, significa che gli utenti hanno la libertà di eseguire, copiare, distribuire, studiare, modificare e migliorare il software”.
“Sembrerà strano, in Francia abbiamo editori #freesoftware che danno migliaia di posti lavoro, esito di scelta per acquisto software interoperabili, perenni e sicuri. Solo software libero può farlo”: @rdicosmo a Torino racconta rivoluzione digitale francese @nexacenter pic.twitter.com/kil3OGufzN
— Raffaele Angius (@faffa42) May 14, 2018
Una simile architettura, oltre a favorire la nascita di nuove aziende che impiegano migliaia di programmatori, è in grado di lavorare in tempo reale sulle richieste della Pubblica amministrazione, ed è replicabile da un ufficio all’altro grazie alla libertà di consultazione dei codici dai quali è composto. Ne è un esempio il Project Copernic, con il quale l’amministrazione francese ha deciso di ricostruire da zero il sistema tributario del Paese.
Open Source e Pubblica Amministrazione
I principi ai quali si ispira il software libero in Francia sono standard aperti, codice sorgente liberamente consultabile, competenze locali, e diversificazione. Ricetta pensata per garantire sicurezza e trasferibilità dei documenti da una pubblica amministrazione all’altra. “Uno dei problemi principali per una pubblica amministrazione è che i documenti devono essere perenni - precisa Di Cosmo -, requisito facilmente intuibile se si pensa alle funzioni dell’anagrafe”. Per le stesse ragioni la sicurezza deve essere centrale nel progetto di informatizzazione della Pa, e in questo caso è garantita dalla libera consultabilità del codice che compone il software, che può essere analizzato pubblicamente. Con i sistemi open source (codice aperto), la sicurezza è garantita dalla comunità informatica, la quale può accedere al codice che compone i programmi in modo da individuare eventuali difetti.
“Ma uno dei vantaggi più grandi riguarda la libertà d’azione della Pa rispetto alle licenze software: non ci si deve confrontare con grandi corporation che cambiano i termini contrattuali a loro piacimento, o con aggiornamenti di sistema che richiedono ogni volta l’acquisto di nuove licenze su tutti i programmi”, spiega Di Cosmo.
I numeri di un boom
In termini di investimenti, il mercato del free software francese è passato da un volume d’affari di 400 milioni di euro nel 2006 a quasi 4 miliardi nel 2013. Oggi in Francia si contano 4462 imprese che garantiscono 50mila posti di lavoro qualificati nel settore. Tutto questo senza che vi fosse un peso sostanziale sulle casse dello Stato: “I costi di transizione non sono un’esclusiva del software libero, ma si verificano ogni qualvolta venga fatto un aggiornamento. Ed è proprio quando la migrazione è prevista comunque che si deve valutare il passaggio al software libero. Mettere in piedi un sistema nuovo, riscrivere i manuali e formare il personale ha ovviamente un costo. Anche il passaggio da Windows Xp a una versione successiva ha pesanti costi di transizione, ma se invece si avvia una migrazione verso il software libero, questo viene ripagato sul lungo termine”. L’esempio concreto lo offre proprio il Project Copernic, che a fronte di uno stanziamento di un miliardo di euro in dieci anni, ha permesso di ridurre a un decimo i costi di mantenimento e formazione sostenuti dal Ministero delle finanze francese.
Un passo avanti sul fronte Italiano è stato già fatto, con la pubblicazione delle Linee guida sull’acquisizione e riuso del software, che dai primi di aprile consente agli uffici pubblici di condividere i programmi che utilizzano sotto licenza libera. Il piano è di favorire la replicabilità del software tra le varie amministrazioni, così che non sia necessario per ogni Pa dotarsi di un suo sistema. “Ma in Italia il problema è la paura che siano tutti corrotti”, ha spiegato il presidente di Forum Pa Carlo Mochi Sismondi. “Per paura che qualcosa vada male si regolamenta tutto, ma così le pubbliche amministrazioni non hanno mai facoltà di adire iniziative virtuose proprie senza passare sempre da Roma”.
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