Dovevano essere 7800 i telefoni e gli apparecchi inespugnabili. Ma tutto a un tratto sono diventati molti di meno. Quel che è peggio, la cifra data all’inizio dall’Fbi era del tutto sbagliata. Un errore non da poco considerato che si tratta di quella stessa Fbi che da anni, dai tempi dello scontro con Apple sul telefonino dell’attentato a San Bernardino, picchia con insistenza sul problema della cifratura dei dispositivi, che limiterebbe l’accesso delle forze dell’ordine a contenuti importanti durante le indagini. Così ora i federali sono finiti nel mirino di ricercatori di sicurezza e degli attivisti per la privacy.
Tutto nasce da uno scoop del Washington Post, che ha scoperto come l’Fbi abbia gonfiato il numero di smartphone sequestrati per indagini cui non riusciva ad avere accesso a causa dei meccanismi di cifratura. Per mesi infatti l’agenzia federale americana ha sostenuto, in pubblico e davanti al Congresso, che la quantità di apparecchi elettronici, perlopiù smartphone, cui non riusciva ad accedere per la cifratura fosse nel 2017 intorno alle 7800 unità.
Ma il numero effettivo sarebbe molto più basso e si aggirerebbe sui 1200, o comunque tra i 1000 e i 2000. L’Fbi ha poi riconosciuto e confermato l’errore, cioè il fatto che 7800 fosse una cifra sbagliata per eccesso, e ha spiegato che si sarebbe trattato di una sovrapposizione di conteggi fra tre diversi database. Ma ha comunque difeso la sua posizione sul tema della crittografia, ribadendo che il mancato accesso a dati e informazioni a causa della cifratura (quello che viene definito “going dark”) resterebbe un problema.
“La valutazione iniziale dell’FBI - ha dichiarato l’agenzia - è che degli errori di programmazione abbiano prodotto un significativo sovraconteggio dei dispositivi mobili riportati. Il “going dark” rimane un problema serio per l’Fbi, così come per altri partner delle forze dell’ordine a livello locale, statale e federale. L’Fbi continuerà a cercare soluzioni per assicurarsi che le forze dell’ordine possano accedere a prove di attività criminali con l’autorità legale appropriata”.
I federali vogliono una 'porta sul retro'
La Electronic Frontier Foundation, l’ong che si batte per i diritti digitali e che sta sulle barricate ogni qual volta qualcuno voglia indebolire i meccanismi di cifratura di dispositivi e servizi, scrive di non essere stupita della notizia. Poiché da tempo l’Fbi e il suo direttore Christopher Wray dicono di aver bisogno di una backdoor, di un “accesso eccezionale” per dover fronteggiare la diffusione della cifratura nei dispositivi. E i quasi 8mila apparecchi inaccessibili sarebbero stati centrali in questa vulgata del “going dark”. Ma la reale entità del problema sarebbe già stata rimessa in discussione dal dall’esistenza di “servizi offerti da aziende come Cellbrite e Grayshift, che riescono a superare la cifratura anche dei telefoni più recenti”, scrive ancora la EFF.
Insomma, secondo gli attivisti i sistemi forniti da terzi per aggirare la cifratura sfruttando vulnerabilità dei dispositivi consentirebbero già ora di accedere a gran parte di questi, senza dover ricorrere a backdoor - a “porte sul retro”, vie d’accesso che scavalcano i meccanismi di protezione - che rischiano di indebolire la sicurezza di tutti. Eppure il dibattito su possibili “accessi eccezionali” negli Stati Uniti era stato ravvivato ancora recentemente, come raccontato qua.
Anche il ricercatore di sicurezza e crittografo Matthew Green sostiene di non essere stupito e abbozza una interpretazione dell’insistenza dell’Fbi sui dispositivi cifrati. Secondo Green, il vero obiettivo sarebbero i sistemi di comunicazione cifrata (come le app di messaggistica).