Tre secondi per identificare chiunque. In confronto il passaporto elettronico è già preistoria. Perché presto basteranno una telecamera e 90 terabyte per identificare tutti i cittadini cinesi. Perché stupirsi: la Cina è seconda solo agli Usa per investimenti nell’intelligenza artificiale. E ha un’ossessione per la sicurezza (che oggi si manifesta anche nei teatri internazionali) – una forma di repressione preventiva. Si è messo in moto un progetto che punta a costruire un enorme database per il riconoscimento facciale. Sì: i cinesi sono 1 miliardo e 300 milioni. E il database vuole scannerizzarli tutti. Come funziona? Il piano, lanciato dal ministero per la Pubblica Sicurezza nel 2015, conta di creare un sistema in grado di collegare il volto di ciascun cittadino con la foto identificativa al tempo di un battito di sopracciglia.
Lo riferisce in un lungo articolo il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post. A vincere l’appalto, una compagnia attiva nei servizi di sicurezza basata Shanghai, Isvision. Contattata dal Post, l’azienda ha confermato di aver siglato il contratto nel 2016 senza fornire dettagli. Isvision ha già all’attivo diversi sistemi di sicurezza: le prime videocamere di sorveglianza con il suo marchio furono installate a piazza Tian’anmen nel 2003, e più di recente sono state adottate dalle forze dell’ordine nella turbolenta provincia del Xinjiang, e anche nel Tibet. Invision utilizzerà un algoritmo sviluppato da SeetaTech, una start-up creata da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Tecnologia Informatica dell’Accademia delle Scienze Sociali di Pechino. I quali ammettono: “Alcuni cinesi senza alcun legame di parentela presentano tra di loro somiglianze così forti che persino i genitori faticano a distinguerli se messi davanti a due foto”.
Un margine di precisione del 90%
Il sistema verrà collegato agli impianti di videosorveglianza delle forze di polizia e sfrutterà il cloud computing per allacciarsi ai centri di elaborazione dati diffusi in tutto il Paese. Il margine di precisione – assicurano fonti ben informate - sarà del 90%. Per immagazzinare i dati principali di ciascun cittadino servono 13 terabyte, mentre il database completo, corredato di dettagliate informazioni personali, non supera i 90 – secondo alcuni paper pubblicati sul sito del Ministero. Il rischio però è un altro. Perché sapete quanto spazio serve per contenere all’incirca 10 terabyte? Basta un hardisk che sta sul palmo di una mano. E c’è già chi teme un data-leaks. “In teoria potresti metterlo in una borsa di viaggio e imbarcarlo in volo”, spiega Chen Mingming, docente di scienza informatica presso la Nankai University di Tianjin. “Le informazioni potrebbero essere facilmente sottratte e messe online, causando non pochi problemi”, ammette Chen. Impossibile, rassicura il ministero della Sicurezza: scaricare tutti i dati “sarà difficile quanto lanciare una testata nucleare”.
Quando sarà pronto? Difficile a dirsi. Alcuni ricercatori cinesi ammettono che non saranno poche le criticità in fase di realizzazione, dovute non solo ai limiti tecnologici ma anche all’immenso bacino demografico. Non solo: il governo cinese è molto esigente: vuole margini di accuratezza elevatissimi.
Un data base di portata mai vista
Simili database esistono già ma sono applicati a livello municipale o provinciale – almeno da un paio di anni Pechino è stata messa completamente sotto sorveglianza. Non su scala nazionale. Lo spiega Chen Jiansheng, professore di ingegneria elettrica presso la Qinghua Università e membro della Commissione ministeriale che supervisiona l’avanzamento tecnologico delle forze di polizia: “Nessun Paese ha una popolazione vasta come la Cina, si tratta di costruire un sistema con una portata mai vista”.
Il database verrà utilizzato , dunque, per motivi di sicurezza. Esclusi per il momento applicazioni commerciale, non consentiti dalle leggi attuali.
Eppure, oggi il riconoscimento facciale in Cina ha a che fare soprattutto con i sistemi di pagamento. Al punto da rendere già arcaica la recente innovazione di pagare senza contanti utilizzando lo smartphone. Il primo esperimento è avvenuto nella catena di ristoranti Kpro legata al colosso del fast food, KFC. Qui per pagare basta metterci la faccia. Ecco come funziona. L’app si chiama “Smile to Pay” e l’ha lanciata il colosso dell’ecommerce Alibaba con Ant Financial (braccio finanziario nonché socio di KFC) e Alipay (la piattaforma di pagamenti online più diffusa in Cina con un market share del 51,8% e oltre 500 milioni di utenti registrati). Al cliente di Kpro non serve scomodarsi per pagare in cassa: dopo aver ordinato attraverso un sistema telematico, al momento del pagamento la scansione del volto verrà fatta risalire alla foto identificativa immessa nel sistema; se corrisponde, per completare il pagamento basterà che il cliente inserisca il proprio numero di telefono. Detto, fatto.
Nei ristoranti sarà possibile sapere i gusti dei clienti
Anche Baidu, il popolarissimo motore di ricerca, puntella il settore. Nel ristoranti aziendali è già possibile pagare con il riconoscimento facciale. Di più: Baidu e KFC hanno lanciato un sistema di scansione che permette di di prevedere i gusti dei clienti. Ed ecco che al farsi consigliare il menù da un algoritmo, il passo è breve. Altri ristoranti che utilizzano lo stesso sistema, addirittura ottengono sconti in base al loro indice di bellezza: a stabilirlo sempre lo stesso algoritmo.
Una tecnologia sicura, garantisce Ant Financial: si tratta di un software che utilizza una camera 3D e un algoritmo che riconosce la dinamicità della singola persona, e questo per vengano usate foto altrui per il pagamento. Proprio oggi un rapporto di Capgemini and BNP Paribas ha svelato che la Cina supererà gli Usa entro il 2020 come primo mercato per i pagamenti digitali con una crescita prevista del 36% nelle transazioni globali. Il riconoscimento facciale rivoluzionerà il settore del retail banking: si va verso un mondo dove per pagare una bolletta non saranno più necessari portafoglio e smartphone.
Due settimane fa nel Gansu
Arrivo a Dunhuang, nella provincia nordoccidentale del Gansu, vicino al deserto di Gobi. Luogo fino a qualche anno fa dimenticato dalla modernità cinese, oggi punto di confluenza di risorse (Go West Policy) per la rinascita di una economia importante anche per la rinnovata Via della Seta, che proprio da qui vedeva partire cammelli carichi di seta diretti verso le regioni dell’Asia centrale, nella notte della storia. Partecipo a una conferenza internazionale insieme a un centinaio di ospiti stranieri. La mattina ci caricano sui pullman verso un giro turistico alle grotte di Mogao, o dei diecimila Buddha. Al rientro in hotel ho un soprassalto: davanti a me, appena varcata la soglia, si proietta su uno schermo posto all’ingresso la mia foto identificativa, la stessa stampata sul libro dei partecipanti. Ho appena superato un sistema di riconoscimento facciale. Man mano che entrano, scorrono per pochi secondi le foto di tutti gli altri ospiti. Grande segnale di ospitalità. Eppure mi sento un po’ Emma Watson nel film The Circle.
Ma nulla di più lontano.