Saranno due giorni cruciali per Mark Zuckerberg, quando domani e dopodomani testimonierà davanti alle commissioni del Congresso Usa. E davanti a una serie di parlamentari che appaiono tanto confusi quanto agguerriti. Probabilmente l’obiettivo del Ceo di Facebook sarà quello di scusarsi per gli errori, rassicurare il Congresso che la sua piattaforma non sia sfruttata per manipolazioni, e spiegare come saranno meglio protetti i dati degli utenti. Ad assisterlo è scesa in campo una schiera di consulenti, esperti di comunicazione e in particolare legali dello studio Wilmer Hale, che lo stanno preparando per la maratona di due giorni. A guidare quest’ultima squadra, Reginald J. Brown, ex assistente speciale di George W. Bush. Per inciso, tra gli ex partner di Wilmer Hale figura anche Robert Mueller, già direttore dell’Fbi e attuale procuratore speciale nell’inchiesta sul Russiagate (si è dimesso dal suo ruolo nello studio una volta ricevuto il delicato incarico).
Per Zuckerberg è il momento più impegnativo della carriera. E già oggi starebbe incontrando in privato alcuni dei parlamentati, riferisce Reuters. Ogni sua risposta, probabilmente sotto giuramento, verrà analizzata e potrebbe avere effetti legali e politici.
Sotto la lente della Federal Trade Commission
Su Facebook ci sono indagini aperte in varie parti del mondo. La più rischiosa per ora è quella nella madrepatria. Negli Stati Uniti la Federal Trade Commission (la Commissione federale per il commercio) ha confermato a fine marzo di aver aperto un fascicolo su possibili violazioni della privacy dopo le rivelazioni su Cambridge Analytica. Ma, secondo alcuni osservatori, sotto la lente potrebbe essere finita anche la raccolta di informazioni dai profili Facebook attraverso la funzione di ricerca.
Fino a qualche giorno fa, infatti, era possibile cercare un profilo inserendo solo il numero di telefono o la email di un utente. Una funzione che potrebbe essere stata abusata da una miriade di soggetti. Anzi, l’abuso c’è stato, anche con una certa sofisticazione, come confermato nei giorni scorsi dal direttore tecnico di Facebook, Mike Schroepfer, il quale è arrivato a scrivere che “la maggior parte delle persone su Facebook potrebbero avere avuto il loro profilo pubblico raccolto in questo modo”. È una possibilità, e resta un senso di incertezza. Si tratterebbe pur sempre della maggior parte di 2,2 miliardi. A usare questa funzione – ora disattivata - possono essere stati banalmente anche dei criminali, per ricostruire delle identità a partire da frammenti di informazione ottenuti in altro modo, magari attraverso un leak di indirizzi email.
Ora c’è chi ritiene che la Federal Trade Commission stia esaminando entrambi i casi. Perché rischiano di costituire una violazione di un provvedimento (una ordinanza consensuale) del 2011 della stessa Commissione per il commercio, che chiedeva al social network di implementate una serie di misure per la privacy al fine di impedire che soggetti esterni potessero accedere impropriamente ai dati degli utenti.
Secondo un calcolo del Washington Post, in linea teorica violazioni dell’ordinanza consensuale potrebbero anche arrivare a una multa di 40mila dollari per ogni caso, da moltiplicare per il numero di utenti interessati. Più realisticamente, c’è chi ricorda che la sanzione più elevata fatta pagare dalla Federal Trade Commission ad oggi si aggira sui 168 milioni di dollari.
Le domande dei senatori e il rischio di una regolamentazione
Al di là delle ipotesi ancora molto aleatorie su multe e loro cifre, va sottolineato che la testimonianza di Zuckerberg potrebbe invece avere un effetto politico, inducendo il Congresso ad adottare nuove leggi per regolare l’industria tech. Tanto più che la luna di miele tra governo Usa e Silicon Valley sembra essere finita da tempo.
Tornando alle audizioni di Zuckerberg davanti alle commissioni del Congresso, sul piatto ci sono due filoni principali: la privacy degli utenti e il controllo che esercitano sui loro dati, da un lato; il rischio di manipolazioni della piattaforma a fini di propaganda da parte di attori ostili, dall’altro.
Due temi sintetizzati ieri in una intervista da un parlamentare. “La mia preoccupazione principale è che la questione della privacy e quella della propaganda siano troppo grosse per Facebook da risolvere”, ha dichiarato il senatore repubblicano John Neely Kennedy a Cbs, aggiungendo di avere molte domande, tra cui se gli utenti debbano poter cancellare le loro tracce digitali su Facebook e se non debbano avere più controllo sui dati raccolti. “I termini di servizio sono scritti in Swahili, nessuno li capisce”, ha aggiunto. E ancora: “Sanno davvero chi c’è dietro le pubblicità che sono diffuse dalla loro piattaforma?”
Un altro senatore, il repubblicano John Thune, ha dichiarato di voler sapere “la visione di Zuckerberg sulle responsabilità che Facebook intende prendersi; come proteggerà i dati degli utenti; come intende fermare in modo proattivo comportamenti pericolosi invece di essere obbligato a risponderne mesi o anni dopo”.
Ma c’è chi si aspetta domande scomode soprattutto da parte democratica sulla possibilità (mai provata finora) che il social network sia stato usato per influenzare le elezioni americane del 2016, o che possa essere usato per inquinare quelle di medio termine, previste in autunno.
Facebook ha cercato di correre ai ripari negli ultimi giorni, aprendosi alle interviste dei giornalisti (una novità rispetto al passato) e introducendo una serie di modifiche. Sul fronte del rischio di manipolazioni e propaganda, il social network ha annunciato che richiederà a chi acquista pubblicità politiche di verificare la propria identità. La piattaforma ha anche introdotto una serie di misure per dare più controllo in mano agli utenti, limitando l’accesso delle app ai loro dati e semplificando i controlli sulla privacy.